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Dall’ultimo e definitivo convegno di M. Croce, avvenuto il 30 ottobre in un’osteria sperduta tra le montagne, passarono due giornate calme ma laboriose per i complottanti che ognuno s’affaccendava a svolgere il proprio incarico. Verso sera il Ferruccio Nicoloso giunse in casa dell’Ursella. Bussò alla porta col segnale convenuto e senza entrare raccontò i suoi sospetti per poi dileguarsi svelto per precauzione.

“Ho visto il segretario Quaglia – aveva detto - con uno di quei villeggianti. Si con uno della polizia. Il quale lo lasciò un momento per poi tornare subito dopo. È certo che abbiamo con noi delle spie.”

L’Ursella lo guardò allontanarsi: dunque era proprio Quaglia. Ma perché se la polizia conosceva ogni cosa non li aveva ancora arrestati? Già se l’era chiesto specie quando Ettore Zanuttini aveva insinuato che non si fidava di quel signore, ed ora gli appariva chiara anche la risposta: era evidente, infatti, che la polizia, avendo uno dei suoi in seno al complotto, si sentiva troppo sicura per non pigliarsi la soddisfazione di piombare all’attacco al momento culminante. Così, oltre a compiere il proprio dovere, otteneva il necessario fracasso propagandistico che richiedeva il regime.

Era venuta sera e l’Ursella non perse tempo; infilato il cappotto si diresse all’abitazione dello Zaniboni, distante circa un chilometro.

La fitta pioggia caratteristica di quella regione, permise all’Ursella di passare ovunque inosservato.

Trovò lo Zaniboni con le mani sporche d’olio perché stava lavorando nel motore della sua macchina. Questi salutò l’arrivato ed accennò al cofano col mento: “Tutto è a posto: è lì sotto”. L’Ursella osservò un momento e capì che in quell’involto v’era il fucile: senza positivo sospetto però non sarebbe stato possibile accorgersi. Annuì ma subito troncò il lieve sorriso: “Partite stasera con Quaglia?”. L’onorevole asserì col capo e stette silenzioso: c’era qualcosa di nuovo forse? L’altro continuò chiedendogli se avesse proprio la piena fiducia del suo segretario. Ma questi con una rapida mossa del capo sembrò scacciare quelle infondate supposizioni e stette per parlare. L’Ursella col tono grave di chi vede preso in ischerzo cose serie: “Lo hanno visto assieme ad uno della polizia –insistette:- è certo che siamo spiati e Quaglia ha sollevato vari sospetti”

L’on. divenne serio, ma per nulla sbalordito, volle rassicurarlo: “Ho molte prove per avere la massima fiducia nel mio segretario. Non impressionatevi neanche se ci spiano: il colpo riuscirà. Stasera stessa partiamo per Roma. E lei, come siamo intesi, mi seguirà in treno. Ci rivedremo il 4 novembre dopo l’attentato. State calmi: tutto andrà bene.” Gli batté la mano sulla spalla e per un momento attese la risposta o almeno il consueto cenno accondiscendente ma questo non avvenne. Non era uomo da lasciarsi suggestionare dalle chiacchiere l’Ursella ma le dichiarazioni che aveva avuto dallo Zanuttini e dal Nicoloso lo avevano colpito: le parole di Zaniboni d’altronde gli erano risuonate piene d’ottimismo.

Gli porse i suoi saluti e salutatolo se ne andò nella notte.

Arrivo a Roma.

Verso le 21 arrivò da Zaniboni Quaglia con tutto l’occorrente per la partenza. Sbrigarono assieme gli ultimi preparativi e dopo mezz’ora erano già in macchina.

Zaniboni neppure gli accennò della visita ma si limitò ad osservarlo: appariva veramente troppo sicuro nel suo continuo sorriso ma ormai non era più possibile fermarsi su quei dubbi: molto era stato giocato e il tempo non permetteva di tergiversare su sospetti che avevano troppo poche fondamenta.

Senza alcun incidente arrivarono a Roma la sera del giorno seguente. Presero alloggio in una camera di via Pia.

Anche l’Ursella la sera del 2 novembre partiva in treno per Roma, giungendovi la notte del 3. Pure egli non aveva trovata migliore risoluzione che quella di continuare ad agire fiducioso, più che altro, nella sicurezza dello Zaniboni.

Uscito dalla stazione, s’avviò cauto nelle vicinanze di piazza Colonna. Entrò all’”albergo dei portoghesi” ed osservò per un momento le poche facce che gli stavano d’intorno: erano tutti pacifici romani. S’avvicinò allora alla padrona e le ordinò la cena e una camera porgendole la carta d’identità: Cragnolino Arturo.

Non fu vana tutta questa sua preoccupazione: la polizia, infatti, era stata sguinzagliata in tutti i dintorni di piazza Colonna perché era già in conoscenza che in nottata doveva arrivare il signor Angelo Ursella “venuto a Roma per affari inerenti all’attentato”. E di lui sapeva le più dettagliate caratteristiche: basso occhi grigi ed anche il modo di parlare. Ignorava però che l’Ursella era molto accorto. Eppure era il primo che bisognava pigliare: gli altri bastava arrestarli in seguito: quanto a Zaniboni, poi, non aveva più alcuna via di scampo “anche se gli era vicino il suo segretario che aveva giurato di aiutarlo in ogni frangente”.

L’Ursella si fece portare in camera la cena che consumò rapidamente. Estrasse i telegrammi e, col cifrario accanto, compilò “Mussolini morto – occupare ogni centro vitale”.

Questo era il testo reale che molte città d’Italia attesero invano il giorno seguente.

Dopo aver nascosto i telegrammi si sdraiò sul letto ad attendere che passasse la più lunga notte della sua vita.

“Il lunedì” 12/8/1946

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