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La folla che per molte ore aveva atteso invano la comparsa di Mussolini disillusa abbandonava Piazza Colonna. L’Ursella certo ormai del tradimento più che mai cauto camminava nascosto tra la massa.

Cosa dovevo fare? Dove doveva portarsi? Più volte si fece queste domande che tutti i piani erano svaniti ogni progetto era tristemente tramontato.. Tastò nella tasca interna della giacca e sentì i telegrammi. Poche parole che dovevano annunziare all’Italia la fine del pericolo che l’aveva investita: “Mussolini morto occupare ogni centro vitale”. A quell’ora quelle poche lettere avrebbero dovuto varcare l’aria e dare il segnale invece erano rimaste ferme nel cantuccio della tasca. E anche egli, l’Ursella  provava la sensazione di aver subito la stessa sorte: lui che a quell’ora avrebbe dovuto levarsi sulla massa e gridare la prima vittoria.

Il tacco rotto.

Stringe ancora una volta i telegrammi ma subito si risovvenne: li levò, dette un rapido  sguardo alla prima frase: “Mussolini morto” e li stracciò in piccoli pezzi.

“Mussolini è ammalato, me lo ha detto un poliziotto”. Disse con accenno romanesco un giovane che stava vicino all’Ursella.

“Si è ammalato altrimenti sarebbe venuto”.

L’Ursella aveva udito chiaramente questa affermazione. Per un momento s’accorse che il sole brillava e respirò forte perché il cuore aveva moltiplicato i battiti: “”Mussolini non s’era presentato perché era ammalato: nessun tradimento dunque. Quaglia non…”.

S’accorse di tremare, ma con uno sforzo riacquistò la calma ed allora s’avvide della momentanea esitazione. Continuò a camminare dove la massa era più fitta ed a star attento. La dichiarazione che aveva udita, però, l’aveva scosso: “se fosse vero?”. Capiva che non poteva esserlo, ma la speranza illude sempre: sapeva che la malattia del duce non era che una banale causa, ma non poteva convincersi che tutti quegli sforzi fossero svaniti. Così proprio all’ultimo momento.

Decise di dirigersi verso via Pia ovvero all’abitazione dello Zaniboni, per sincerare ogni dubbio.

Si orientò e abbandonata la folla infilò di buon passo una strettoia. Camminò vari minuti ma imboccata via Pia si fermò: pur distante un centinaio di metri ancora dall’abitazione di Zaniboni scorse nelle vicinanze un aggirarsi insolito di individui. Avanzò ancora un po’ per poi entrare in un caffé latteria appresso. Ordinato un caffé si sedette a un tavolo che permetteva la vista sulla strada. Da quella posizione poteva osservare senza che alcuno dal di fuori lo potesse scorgere perché sulla porta pendeva un tendaggio di coralli il quale ostruiva la vista all’interno.

Il banconiere servì l’ordinazione e l’Ursella approfittò per chiedergli se conoscesse quei tre, quattro individui che passeggiavano sulla via. Il cameriere si affacciò un’istante sulla porta e scosse il capo: “non li ho mai visti, non vengono mai da queste parti”.

L’Ursella lo ringraziò con un cenno e continuò a guardare nell’esterno. Non erano mai stati da quelle parti, quegli uomini, erano giunti dunque,  per l’occasione: altro che malattia del duce.

Sfiorato dal pericolo.

Volle tuttavia rassicurarsi definitivamente. A lato dell’entrata, dell’abitazione dello Zaniboni era la bottega di un calzolaio. L’Ursella dal suo tavolo aveva letto la scritta soprastante la porta: “riparazioni immediate”. Osservò il tacco della scarpa sinistra già un po’ smosso, e lo staccò. Pagò il cameriere che stava osservandolo in ogni sua mossa ed uscì col tacco in mano. Attraversò la via dirigendosi dal calzolaio, ma due di quei “signori” lo notarono e subito dimostrarono special interesse alla sua persona: conoscevano già da due giorni i connotati del signor Angelo Ursella presente, a Roma “per affari inerenti all’attentato”: basso, occhi grigi accento duro nel parlare.

I due uomini si scambiarono uno sguardo e non attesero neppure che fosse l’Ursella ad avvicinarsi, ma gli andarono incontro.

Solo allora questi s’accorsero della sua inutile temerarietà: chi altro potevano essere quegli individui se non della polizia? Ma non si turbò anzi sentì quasi una sensazione piacevole nell’avere finalmente la piena certezza del grande tradimento in cui erano caduti.

“Signore dove andate?”. L’Ursella sorrise e alzò il tacco; i due uomini però non si dimostrarono convinti: continuarono ad osservarlo e gli chiesero i documenti. L’interrogato diventò serio: invero non se lo aspettava quel giorno di dover mostrare i documenti: un uomo pacifico qual era egli, poi.

“Cagnolino Arturo, commerciante”. I due poliziotti si scusarono e gli lasciarono libero il passaggio continuando a seguirlo con lo sguardo finché non entrò zoppicante nella bottega.

“Ho molta fretta: devo pigliare il treno” disse al calzolaio il quale pieno di comprensione in pochi minuti lo serviva.

Uscì dal negozio e dato uno sguardo ai due uomini, ancora fermi dinanzi all’entrata, quasi correndo si allontanò con in cuore una tremenda ansia, ma anche con la consolazione d’averla scappata bella.

Ormai non gli rimaneva che la fuga, ma cercare di partire in treno sarebbe stato voler incorrere in altri guai; meglio era lasciare passare il tempo necessario perché si calmassero i primi bollori. Sentì il bisogno di trovare qualche conoscenza d’aver accanto qualche amico non soltanto quella gente che lo guardava sospettosa. Gli venne in mente “la valle del diavolo”. Così si chiamava una zona fuori Roma in cui erano molte le fabbriche di laterizi. Ivi lavorava molta gente del suo paese e avrebbe certamente trovato un sicuro asilo.

Vi giunse che il sole tramontava; se ne stupì di ciò ché in quella giornata densa di avvenimenti aveva persa ogni cognizione del tempo. Osservò gli ultimi raggi che illuminavano gli alti camini ed il fumo che vi usciva.

In cerca di scampo.

Passò sotto le tettoie dove i lavoratori impastavano e stampavano l’argilla senza che alcuno gli prestasse attenzione. Ma finalmente venne un richiamo amico: era un suo compaesano il quale gli corse incontro pulendosi le mani nei pantaloni.

“Come mai a Roma? Vieni ti racconterò”.

Si appartò dagli altri operai e in poche parole gli spiegò tutto: aveva la massima fiducia in quel lavoratore e gli chiese il suo aiuto: se avrebbe potuto imprestargli altri vestiti e se avrebbe potuto tenerlo a dormire.

L’uomo si ripulì la destra nei calzonie gliela ritornò a porgere: indubbiamente dai calli e sporca, ma sincera.

“Il lunedì” 02/09/1946

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