La vertenza Avilla-Sottocolle

Capitolo 1

 

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Premessa

 

Per meglio comprendere il perché degli avvenimenti, dei comportamenti, delle iniziative e delle reazioni che complessivamente costituiscono l’articolato intreccio di vicende inerenti il contrasto sviluppatosi tra le borgate di Avilla e Sottocolle negli anni trenta, è opportuno fare prima alcune considerazioni di ordine storico, sociale e culturale  presenti nella società civile buiese all’inizio del secolo scorso e sottolineare alcuni eventi, accaduti a cavallo tra l’ottocento e il novecento, che possono ritenersi come  concause nella genesi dei fatti che poi, nel tempo, hanno avuto luogo.

La società buiese di allora  era vera espressione della civiltà contadina e del diffuso quanto radicato sentimento religioso che avevano permeato in profondità ogni ambito della società stessa e larga parte dei rapporti interpersonali e interfamigliari  nella comunità.

Sostanzialmente, fino alla seconda guerra mondiale gli usi e le tradizioni sedimentati nel corso dei secoli avevano creato un complesso di regole e di comportamenti in virtù dei quali a  ogni chiesa,  costruita dalla comunità o per la comunità, era assicurato quanto necessario per la sua manutenzione e funzionamento. Se una chiesa non possedeva rendite proprie o queste erano insufficienti, gli abitanti vicini alla chiesa stessa dovevano farsi carico  di contribuire, per quanto dovuto, secondo le modalità e gli usi consolidatisi nel tempo e da tutti condivisi e accettati. Per questo motivo, quando sorgeva una nuova chiesa, una delle prime cose che venivano definite dalla comunità interessata era la delimitazione del territorio di pertinenza  o di giurisdizione dell’edificio sacro in via di costruzione o già edificato.

La gestione di una chiesa era generalmente affidata ad un gruppo ristretto di persone, che più delle volte si tramandavano tale ruolo da padre in figlio e  rendevano conto dell’operato al rettore della chiesa e/o alla vicinia che  aveva scelto il gruppo stesso. La custodia del tempio e l’attività di funzionamento quotidiano erano affidate al sacrestano, che all’epoca era considerato un punto di riferimento importante sia per la comunità interessata, sia per il clero addetto alla cura delle anime.

Gli oneri legati alle istituzioni ecclesiastiche, che in genere gravavano sulle famiglie di allora erano tre: il quartese per il mantenimento dei sacerdoti (pievano e cappellani), un contributo (in natura e denaro) per la chiesa parrocchiale e per quella di borgata, infine una offerta in natura o in denaro per il sacrestano della chiesa stessa. Si comprende subito che nella parrocchia dove insistevano più chiese esisteva  una concreta possibilità di sovrapposizione di più questue che, dati i tempi non certamente floridi, era sopportata con sacrificio ed anche con malcelato fastidio da parte delle famiglie, mentre tale diritto di riscossione veniva  diligentemente perseguito da parte degli aventi causa.

 All’inizio del 1900 a Buja, mentre esisteva già ben affermato il concetto di unitarietà socio-territoriale nell’ambito civile (comune), in ambito religioso  la formale unità, rappresentata dalla giurisdizione della Pieve di S. Lorenzo, non era altrettanto  pacificamente accettata e condivisa nella mentalità della gente. Per ragioni pratiche e storiche il territorio della Pieve era diviso in due comparti: settentrionale o “di sopra” e meridionale o “di sotto”. Il comparto settentrionale comprendeva le frazioni di Madonna, Urbignacco, Sopramonte, Solaris, Codesio e i borghi minori adiacenti. Esso era di fatto servito dal cappellano-Vicario che abitava a Madonna e celebrava ordinariamente  in quella chiesa e, se richiesto, nella Pieve di Monte. Il comparto di sotto, costituito dalle frazioni di S. Stefano, Arrio, Sottocostoia, S. Floreano, Ursinins Grande e Piccolo, Avilla, Tomba e relativi borghi minori, era curato dal Pievano, coadiuvato dai cappellani e residente a S. Stefano, che officiava ordinariamente nella Pieve di Monte e a S. Stefano. Le chiese filiali di Tomba, Avilla, S. Floreano, Ursinins Grande, esistenti da vecchia data, erano di solito servite dai cappellani incaricati dal Pievano. Esse facevano un po’ da  centro di aggregazione e/o attrazione per le borgate minori adiacenti. Ferma restando la frequentazione  della chiesa matrice di Monte nelle principali festività liturgiche, la gente, per praticità e convenienza, ordinariamente frequentava la chiesa più vicina alla propria abitazione. Con il trascorrere del tempo questa naturale aggregazione presso le  chiese periferiche gettò le basi per quel processo di scollamento che porterà, nel giro di pochi decenni, alla progressiva disgregazione della Pieve unitaria ed alla formazione di ben cinque parrocchie buiesi.

Nel 1898 a S. Stefano si ultimava la costruzione del duomo in sostituzione della vecchia e angusta chiesa preesistente. La principale motivazione di tale nuova costruzione fu l’esplosione demografica del momento e il sempre più avvertito disagio a raggiungere la Pieve di Monte per la celebrazione delle festività religiose.

Di pari passo, la borgata di S. Stefano, con l’avvenuta costruzione del nuovo municipio, del duomo e di altri importanti edifici, nonché per la presenza dei principali servizi pubblici, andava consolidando le caratteristiche di vera frazione-capoluogo del Comune.

Nel  1902 venne a morire mons. Pietro Venier, Pievano di Buja per oltre quarant’anni, persona autorevole e punto di riferimento indiscusso  per tutta la collettività di allora. Con la sua scomparsa,  ogni prospettiva di modernizzazione e di evoluzione degli equilibri di influenza e di condizionamento territoriale divenne agli occhi degli insofferenti dello status-quo ecclesiastico più concreta e realizzabile.

La storia della  lunga vertenza tra Avilla e Sottocolle va inquadrata in questo contesto storico.

 

 
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