La vertenza Avilla-Sottocolle

Capitolo 2

 

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Antefatto

 

Dalle premesse è facile comprendere che in un territorio come Buja, articolato in diverse frazioni  dove non  era ancora diffusamente confermato, e quindi pacificamente accettato dalle altre, il ruolo egemone della borgata capoluogo, le chiese frazionali, prima espressione delle rispettive identità, fungevano quasi naturalmente da catalizzatore per le spinte separatiste avverse al “potere” centralizzato esercitato dal Pievano ed emblematicamente rappresentato dalla chiesa parrocchiale. Ora, fino a quando tale potere era rappresentato dalla Pieve di Monte, generalmente riconosciuta come chiesa madre e  “super partes”, tale realtà poteva andar bene quasi per tutti; quando invece, con la realizzazione del Duomo di S. Stefano, la Pieve di Monte perse il suo ruolo a favore di quest’ultimo, le cose non erano più così pacifiche,  perché la chiesa dominante divenne proprio il Duomo che, nell’immaginario collettivo di allora (e forse anche al presente) non era riconosciuto come chiesa di tutta Buja ma semplicemente come la chiesa dell’omonima borgata. Da qui la deduzione  logica e immediata: quelli di S. Stefano comandano, le frazioni periferiche subiscono.

Alla morte di mons Venier, che aveva retto la Pieve “con cuore paterno” ma anche “con mano ferrea”, questi fermenti più o meno latenti esplosero. Il comparto di sopra, ben definito nella sua delimitazione territoriale e già di fatto organizzato attorno al Vicario, da sempre residente a Madonna, e attorno alla chiesa omonima, dimostrò subito la sua voglia di distaccarsi dalla Pieve. Come primo, esplicito segnale  di smarcamento,  già ai funerali dello stesso Venier le campane di Madonna non unirono il loro suono a quello delle altre chiese buiesi in lutto. Il nuovo Pievano Giuseppe Bulfoni, pur dichiarando la propria contrarietà a queste aspirazioni, nulla potè fare per bloccarle. Infatti nel 1910 nacque la parrocchia indipendente di Madonna, che comprese tutto il comparto di sopra. Questo processo non diede luogo a traumi particolari perché ampiamente e omogeneamente condiviso dalla stragrande maggioranza della popolazione coinvolta.

Nel comparto di sotto, la presenza di più chiese filiali o frazionali ostacolò di parecchio le aspirazioni secessioniste di quella parte di popolazione che mostrava maggiore sensibilità per queste problematiche e che trovava attorno alla chiesa di S. Pietro di Avilla  il nucleo più dinamico.

In questo circondario, pur essendo il duomo di S. Stefano - chiesa con parrocchiale - il punto di riferimento  per tutta la comunità, era pur vero che, per le pratiche religiose consentite, la gente utilizzava la chiesa più vicina o più confacente alle sue abitudini; questa pratica era poi maggiormente esercitata dalle famiglie abitanti nelle borgate intermedie rispetto alle chiese esistenti (vedi: Sottocolle, parte di Ursinins Piccolo, Sottocostoia, Sala, Collosomano). Questo comportamento era inoltre agevolato dal fatto che la giurisdizione parrocchiale era la stessa, e quindi l’utilizzo di una chiesa anziché di un’altra non creava pregiudizi  di alcun genere né alle attività pastorali nè agli equilibri giuridico-economici della parrocchia. La gente si muoveva all’interno di uno stesso contenitore, beneficiando degli stessi servizi per il tramite degli stessi sacerdoti, avendo in più, molte volte, la possibilità di  scegliere tra di essi quello più gradito. Se a Madonna il vento di fronda del separatismo, soffiando, rese mute le campane per il funerale di mons. Venier,  ad Avilla già nel 1900 i rapporti tra il clero di S. Stefano ed i responsabili di quella Chiesa non erano idilliaci. In questa borgata  esisteva da vecchia data la chiesa dedicata a S. Pietro Apostolo ed era inoltre già ben radicata la devozione per la Madonna della Salute, con la sua specifica festa liturgica del 21 novembre. La chiesa, come tutte le filiali, era sotto la podestà del Pievano, che celebrava in essa in determinate circostanze, mentre, in via ordinaria, era affidata alla cura di uno dei cappellani che risiedevano a S. Stefano con lo stesso Pievano. La gestione della chiesa era, di fatto, controllata dalle famiglie Monassi (il sacrestano era un Monassi) e Ganzitti.

 Nel giugno del 1900, in occasione del funerale di Caterina vedova di Pietro Nicoloso (Cosse) il vicario Bulfoni rifiutava di indossare gli apparamenti postigli dal sacrestano di Avilla per dare la preferenza a  quelli di S. Stefano. Non solo. Rimandava a casa il sacrestano Monassi e vietava la presenza al funerale degli stendardi di Avilla, già prenotati  in quanto la famiglia della defunta aveva, a suo tempo, contribuito all’acquisto degli stessi. Questa prevaricazione provocava la reazione di Avilla,  i cui responsabili chiedevano subito alla Curia quando fosse legittima la presenza delle insegne della loro chiesa ai funerali.

Nell’ottobre del 1902 Avilla e dintorni chiesero al Pievano di avere per la propria chiesa un sacerdote specificatamente dedicato. La richiesta ottenne  positiva risposta nel febbraio 1903, ma subordinata al pagamento di un canone annuo di Lire 900 per il sostentamento del sacerdote medesimo. E a questo punto cominciavano i problemi pratici: chi doveva versare i soldi e, soprattutto, come doveva reperirli? Indirettamente si poneva la questione della territorialità di pertinenza della chiesa e della sua delimitazione geografica. La condizione imposta, data la somma richiesta non particolarmente onerosa e vista la mancanza di altri vincoli accessori, non risulta  abbia sollevato particolari obiezioni  nella comunità interessata, tanto che nell’ottobre del 1903 iniziava ufficialmente  il servizio del cappellano assegnato dalla Curia alla chiesa di Avilla in via specifica, se non esclusiva. Nel 1913 un altro passo verso una maggiore distinzione  di quel servizio  veniva compiuto con l’assegnazione al sacerdote ivi operante del titolo di cappellano-curato e con lo spostamento della sua dimora da S. Stefano ad Avilla, in una casa acquistata alcuni anni prima dalla comunità  per questo fine.

 

 
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