La vertenza Avilla-Sottocolle

Capitolo 4

 

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All’orizzonte si addensano le nuvole

 

Tutto questo avveniva  senza che le famiglie di Sottocolle obiettassero alcunché. Queste infatti frequentavano indifferentemente sia la chiesa di Avilla quanto il duomo di S. Stefano, dopo aver per altro contribuito generosamente alla sua costruzione, a seconda della propria comodità  o simpatia. Quasi tutte pagavano il quartese metà a S. Stefano e metà ad Avilla senza problemi; le istanze avanzate e i risultati  ottenuti dagli esponenti autonomisti di Avilla  non avevano per nulla intaccato lo status-quo dei borghigiani di Sottocolle. Essi nulla eccepirono,  neanche quando nel 1920 la S. Congregazione del Concilio, investita del problema a causa del quartese da versare al Pievano da quelle borgate, riaffermava così: “….affinché i fedeli di Avilla e delle borgate viciniore di Tonzolano, Andreuzza, Sottocolle e Ontegnano non abbiano a soffrire dalla lontananza dalla chiesa parrocchiale, la S.V. potrà disporre che il cappellano di Avilla  si occupi anche di dette borgate...”. Per loro probabilmente, la presenza fissa di un sacerdote  ad Avilla  era da ritenersi un “optional” in più che non produceva mutamenti all’equilibrio preesistente. Ad Avilla, però, le aspirazioni separatiste, incoraggiate dai risultati già ottenuti e probabilmente suggerite e guidate sotto banco dal clero nativo, ben conscio del momento propizio dovuto alla ridotta capacità di reazione dell’ormai debilitato Pievano di S. Stefano, chiedevano senza mezzi termini l’indipendenza per la loro chiesa. Iniziavano così le grandi manovre per la definizione dei confini della futura vicaria  e iniziava anche il lavorio dei “servizi segreti” per fornire alle parti contrastanti suggerimenti, informazioni, mosse e contromosse  utili alla lunga contesa.

La già citata pronuncia della S. Congregazione del Concilio, chiamata in causa da Avilla per il problema del quartese da versare all’Arciprete, indirettamente affermando che il cappellano-curato di quella chiesa avrebbe potuto provvedere alla cura delle anime delle borgate vicine, Sottocolle compresa, implicitamente ratificava uno stato di fatto e gettava le basi per una concreta possibilità di indipendenza di Avilla. Il pretesto immediato per formulare alla Curia la richiesta  di indipendenza dalla Pieve veniva praticamente fornito dagli stessi amministratori della Pieve quando questi, favoriti dalla temporanea mancanza (01.01.1920-19.11.1920) del cappellano-curato di Avilla, nel predisporre la domanda di contributo statale per il rimborso dei danni di guerra subiti dalle chiese omettevano dall’elenco la chiesa di S. Pietro Apostolo di Avilla, facendole  perdere in tal modo i contributi. La commissione di Avilla, venutane a conoscenza, con lettera del 18.10.1921 non solo denunciava  tale  dannosa negligenza  ma attribuiva il danno subito alla dipendenza stessa della chiesa di Avilla dalla Pieve di S. Lorenzo. Quindi, a tutela dei loro legittimi interessi, gli abitanti di quella borgata chiedevano la completa indipendenza per la loro Chiesa.

In qualche modo questa petizione arriva alle orecchie delle famiglie di Sottocolle e suona molto male se i relativi capifamiglia, il 16.11.1921, chiedono al Vescovo, nel caso in cui la chiesa di Avilla divenga indipendente, di rimanere uniti alla Pieve di S. Lorenzo, ossia a S. Stefano. Mettono le mani avanti in quanto sanno che, con la nascita di una vicaria indipendente, giocoforza  finirebbe la loro  possibilità di frequentare a piacere e senza vincoli canonici questa e quella chiesa e di servirsi di  questo o quel sacerdote. Soprattutto, però, non vogliono far parte di una comunità ecclesiale gestita di fatto da un clan di famiglie a loro invise. L’arciprete Bulfoni con ogni probabilità cerca di utilizzare questo dissenso a suo favore e frena per alcuni anni l’evolversi delle cose.

All’inizio del 1929 il Cappellano-vicario di Avilla, don Mansutti, è trasferito come parroco a Palazzolo dello Stella, lasciando così vacante la sede di Avilla che passa in carico all’arciprete Bulfoni per la cura provvisoria. I maggiorenti di Avilla, strumentalizzando il disagio derivante dalla mancanza del sacerdote, evidenziano al Vescovo la necessità che la loro Chiesa  sia resa indipendente. Bulfoni, venuto a conoscenza della richiesta, cerca, a sua volta di utilizzare la vacanza per modificare a suo favore la situazione di Sottocolle, proponendo una rettifica dei confini che di fatto la univano ad Avilla. La soluzione da lui avanzata sostanzialmente divide la borgata in due parti non uguali, dove la maggiore rimane con la Pieve. Gli assertori dell’indipendenza di Avilla, capeggiati da Mattia Monassi, venuti a conoscenza dell’iniziativa presa da Bulfoni, chiedono alla commissione diocesana che i confini non siano toccati. Sottocolle non rimane alla finestra e, su suggerimento dell’arciprete, il 18.06.1929 scrive all’Arcivescovo ribadendo la volontà di restare unita a S. Stefano.

A questo punto la Curia, perdurando la sede vacante, incarica mons. Piccini di studiare il caso e riferire al riguardo. Secondo il suo parere, la richiesta di Avilla intesa a mantenere i confini in essere è corretta, mentre è pretestuosa la posizione dell’Arciprete, perché finalizzata a non perdere la quota parte di quartese proveniente dalle famiglie di Sottocolle. Propone inoltre di fare una verifica della reale volontà dei Sottocollesi raccogliendo casa per casa il loro orientamento. La sua proposta viene accolta dalla Curia e nel mese di agosto due sacerdoti, designati dalla Curia stessa, fanno il giro delle famiglie. Il risultato ottenuto: 13 famiglie per S. Stefano, 20 famiglie per Avilla, 6 famiglie indifferenti. E’ un risultato da subito contestato un po’ da tutti, perché i quesiti sottoposti alle  famiglie  erano formulati in maniera capziosa e senza un chiaro riferimento allo scopo centrale per il quale era stato indetto il sondaggio stesso. Gli incaricati, nello stilare il verbale del loro lavoro, evidenziano un certo attaccamento  per S. Stefano, dovuto forse al fatto che, fino a pochi anni prima, non c’era ad Avilla un sacerdote fisso sul posto; evidenziano altresì una lagnanza altrettanto diffusa perché, a dire delle famiglie, ad Avilla  ci sono alcuni “caporioni” che vogliono gestire da soli escludendo i rappresentanti di Sottocolle, che a suo tempo (1904) erano pur stati inseriti nella commissione per il sostentamento del sacerdote.

Nell’ottobre del 1929, conosciuto l’esito del referendum fatto in agosto, don Chitussi, da pochi mesi a Buja, di sua iniziativa fa all’Arcivescovo la seguente proposta:  Avilla sia resa indipendente e, qualora comprenda anche la borgata di Sottocolle, verserà alla Pieve, a ristoro della menomata rendita così causata al beneficio parrocchiale, un canone annuo di 250 lire, più  una somma una tantum di 5.000 lire. Con ciò l’arciprete di S. Lorenzo rinuncia ad ogni suo diritto. Le famiglie di Sottocolle decidano dove andare. La proposta di don Chitussi, unita al risultato del precedente referendum, probabilmente dà una spinta al processo decisionale della Curia, inducendo questa a prendere una iniziativa alquanto singolare. Alla fine di ottobre, infatti,  l’Arcivescovo affida, con lettera personale, al sacerdote Pietro Della Stua, al momento cooperatore a S. Daniele, l’incarico della cura d’anime della chiesa di Avilla con la qualifica di Delegato arcivescovile e con il compito specifico di “studiare la situazione” di quella realtà. Di questo incarico viene verbalmente informato l’arciprete Bulfoni il quale viene inoltre invitato a non interferire con l’operato del Delegato, senza però che sia formalizzata alcuna restrizione giurisdizionale, seppur temporanea, nei confronti dell’arciprete. Con l’arrivo ad Avilla del Delegato don Della Stua inizia, per quella Chiesa, un periodo giuridicamente strano, perché da un lato il delegato opera in virtù di un mandato vescovile, mentre, dall’altro lato, mons. Bulfoni ha legittimamente potere di giurisdizione anche sulla chiesa di Avilla in quanto ancora filiale della Pieve. Questo dualismo giurisdizionale è motivo di lamentele e di dissidi, voluti o non voluti, tra i sacerdoti in causa, che denunciano all’Arcivescovo il susseguirsi dei conflitti e dei disagi.  Il 29 aprile del 1930 don Chitussi rinnova alla Curia la sua precedente proposta, leggermente modificata, scrivendo così: “Avilla vicaria indipendente, per Sottocolle decidano i superiori. Se va con Avilla, questa versi alla Pieve il canone annuo di lire 300; se resta con S. Stefano, Avilla non dovrà dare alcun compenso alla Pieve. L’Arciprete in ogni caso rinuncia ad ogni suo diritto; nessun vincolo a carico dell’Arciprete  e del Vicario di recarsi  per nessun motivo rispettivamente nella chiesa di Avilla  e di S. Stefano. La Pieve rinuncia a tutto il quartese derivante da quel territorio”. Questa proposta costerà parecchio a Chitussi nel futuro: la Curia gli rinfaccerà di aver lui stesso proposto l’indipendenza di Avilla con Sottocolle compreso; i dissidenti di Sottocolle lo accuseranno, a loro volta, di averli venduti ad Avilla per interesse.

 

 
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