La vertenza Avilla-Sottocolle Capitolo 5 |
Scoppia il temporale
Gli animi cominciano a scaldarsi, complici le dicerie e le malignità che, da ambo le parti, agitano acque che già erano mosse; nell’aria si respira il clima elettrizzante della vigilia di importanti eventi. Prima che arrivi a Udine la lettera di don Chitussi, con lettera privata del 30.04.1930, l’Arcivescovo affida Sottocolle alla cura del Delegato vescovile di Avilla e dispone che il clero di S. Stefano si astenga da ogni ingerenza e/o intervento senza puntuale sua autorizzazione. Questa decisione del Vescovo viene presa in attesa di nuove e definitive disposizioni al riguardo. Infatti, il 14.06.1930 viene promulgato il decreto istitutivo della Vicaria curata, perpetua ed indipendente, di Avilla, avente propria giurisdizione territoriale. Essa comprende, oltre alla frazione di Avilla, quelle limitrofe di Tonzolano, Andreuzza, Ontegnano e Sottocolle. Definiti i confini della nuova entità ecclesiastica, il decreto sancisce l’obbligo per la Vicaria di Avilla di versare a favore del beneficio arcipretale un canone annuo di lire trecento. Con decreto di pari data, don Pietro Della Stua viene nominato primo Vicario di Avilla. Il decreto istitutivo della Vicaria entrerà in vigore il 19.06.1930, dieci giorni prima della festa liturgica dei SS. Pietro e Paolo titolari della chiesa stessa. Subito iniziano le ostilità. Lo stesso 29 giugno, nell’osteria “da Ganzitti” viene esposto un quadro a olio raffigurante il Padreterno, che da un lato effonde la sua benevola luce sulla chiesa di Avilla mentre dall’altro lato lancia fulmini sul duomo di S. Stefano; accanto al duomo è rappresentato il pievano Bulfoni che, con espressione irata e tenendo in mano un rospo, calpesta il suo quadrato. Il fatto crea scalpore ovunque in un battibaleno; intervengono i carabinieri e sequestrano il dipinto diffamatorio. Considerate le gravi conseguenze, anche penali, che potrebbero derivare da questo misfatto, si forma una commissione formata da varie personalità, comprese le autorità civili, per comporre nel modo meno traumatico possibile l’increscioso incidente. La commissione si riunisce nella canonica di S. Stefano e, dopo ampia discussione, don Chitussi dichiara la sua disponibilità a tacitare il tutto a condizione che l’ideatore della trovata versi 2.500 lire pro erigendo campanile del duomo. La proposta viene accolta da tutti ed il signor Ganzitti rilascia effetto cambiario per la somma convenuta. A luglio viene negata al signor Nicoloso Enrico la facoltà di battezzare il proprio figlio a S. Stefano; in Curia piovono petizioni contro il decreto e richieste di modifica. Esse vengono sistematicamente respinte. Ad appesantire ulteriormente il clima tra Avilla e S. Stefano ci pensa don Chitussi, contrapponendo alla festa della Madonna della Salute di Avilla un’analoga e concomitante celebrazione nella chiesa di S. Floreano. I dispetti e le ripicche tra le famiglie avverse non si contano e così dalle parole si passa ai fatti. Iniziano per Sottocolle i tempi dei funerali senza sacerdote: quello di Avilla non è voluto, quelli di S. Stefano non possono intervenire. Ai primi di dicembre dello stesso anno (1930) muore a Sottocolle un bambino di quattro mesi, della famiglia Ciani. La famiglia, essendo stato il bambino battezzato a Stefano, vuole fare il funerale nella stessa chiesa. Impossibile. Allora si va al Cimitero senza sacerdoti. Al funerale, a cui partecipa tutta la gente di Sottocolle e molta altra ancora, sono presenti la banda cittadina e la cantoria parrocchiale di S. Stefano; il mesto corteo è aperto dalla croce di Ursinins Grande, suonano le campane della medesima chiesa e quelle di S. Floreano. Ad Avilla affermano (falsamente, perché l’interessato era in quel frangente a Udine) di aver visto don Chitussi ridere contento mentre assisteva al passaggio del corteo da dietro una finestra. Di fronte a questi avvenimenti incresciosi, che disorientano anche le migliori coscienze, si cerca un accomodamento tra le parti. Il compromesso raggiunto e proposto è il seguente: Sottocolle, territorialmente parlando, resta con Avilla; le famiglie di Sottocolle possono rivolgersi anche al clero di S. Stefano per battesimi, matrimoni e funerali. Il quartese resta libero, sarà cura dei rispettivi sacerdoti fare gli eventuali conguagli. Non ci sarà contemporaneità di processioni tra Avilla e S. Floreano per la Madonna della Salute. Compromesso raggiunto, ma contestato ancor prima di essere adottato se in data 27.02.1931 don Chitussi manifesta alla Curia il suo scetticismo circa le modifiche da apportarsi: secondo il suo parere, o la modifica è radicale o è meglio che non si tocchi alcunché. Il 07.03.1931 viene emanato comunque il primo decreto di modifica che, accogliendo l’accordo raggiunto in precedenza tra le parti, dispone che la cura delle anime di Sottocolle sia affidata anche ai sacerdoti della Pieve. A conferma che i servizi di informazione erano molto efficienti, sta il fatto che nella stessa data (07.03.1931) i dissidenti di Sottocolle chiedono all’Arcivescovo che anche la benedizione delle case e le pratiche matrimoniali siano effettuate dal sacerdote da loro scelto. E, tanto per mettere il piede nella porta prima che si richiuda, il Vicario di Avilla, in data 11.04. successivo, avverte il Vescovo che è sua intenzione benedire sistematicamente tutte le case di Sottocolle. A questo punto, l’Arcivescovo, preso atto della confusione generata dal decreto modificatorio adottato nel mese precedente, predispone una convenzione per interpretare correttamente le norme e consentire una gestione puntuale dei nuovi rapporti. A settembre il Vicario si lamenta con l’Arcivescovo che a S. Floreano, pur avendo anticipato a quel mese la processione mariana, rimane la contemporaneità con Avilla nella celebrazione del triduo di preparazione della festa liturgica di novembre. Nonostante la conclamata disponibilità alla correttezza di comportamenti, rimangono le diffidenze, i piccoli ricatti, le omissioni nella completa applicazione delle disposizioni diocesane. Nel marzo del 1932 le famiglie dissidenti o “uniate” (1) di Sottocolle chiedono ancora lo svincolo da Avilla per la benedizione delle case e per le pratiche di matrimonio rimaste in capo alla vicaria. In agosto scoppiano nuove proteste, illazioni e minacce quando il Vicario di Avilla si reca a riscuotere il quartese presso alcune famiglie di Ursinins Piccolo, che coltivano terreni situati nella giurisdizione di Avilla. Alcuni semplicemente rifiutano, altri sembra trattino male il sacerdote insultandolo, altri ancora si recano in canonica a S. Stefano e chiedono che l’Arciprete faccia valere i suoi diritti e diffidi il Vicario a continuare nella provocazione. Anzi, prima di andare a chiedere il dovuto agli altri, sia lui stesso a versare alla Pieve il canone fissato dal decreto del 1930 e mai pagato. Don Chitussi prontamente segnala il fatto all’Arcivescovo, lamentando naturalmente tutte le scorrettezze e le provocazioni perpetrate dal Vicario. Poi, avendo constatato nel decreto istitutivo della vicaria una incongruenza nella definizione dei confini parrocchiali che si prestava a strumentali interpretazioni a danno della Pieve, chiede una migliore definizione dei confini medesimi. Il 18 settembre, dopo breve malattia, muore l’arciprete mons. Bulfoni; a S. Stefano la gente piange la scomparsa del sacerdote e le campane suonano a lutto; ad Avilla le campane restano mute: la storia si ripete. Nell’ottobre successivo, la Curia incarica una prima commissione, formata dal pievano di Artegna, dal priore di Ospedaletto e dal pievano di Osoppo, di studiare attentamente il problema di Sottocolle e individuare una soluzione che ponga fine a questa pietosa ed infinita diatriba. Come segno di pacificazione, alla processione della Madonna della Salute del 21 novembre viene invitato a presiedere don Chitussi, che accetta. La sua presenza al sacro corteo solleva a Sottocolle un polverone di critiche, perché lo accusano di fare il gioco dei “caporioni” di Avilla. Nel dicembre 1932 i rappresentanti di Avilla ribadiscono in Curia la loro contrarietà a qualsiasi ulteriore modificazione del decreto istitutivo della loro vicaria e, ad arte, seminano veleni a danno di don Chitussi al fine di contrastare una sua eventuale nomina a successore di Bulfoni. La popolazione di S. Stefano, venuta a conoscenza di questa meschina manovra, subito risponde raccogliendo oltre 500 firme a favore del suo sacerdote. Chitussi si arrabbia con gli uni e con gli altri e minaccia di ritirare la sua adesione al concorso indetto dalla Curia. Il 4 gennaio 1933 muore a Sottocolle Giobatta Miani. Per sua volontà il funerale dovrebbe aver luogo a S. Stefano. Non è possibile; dopo accesa discussione tra la famiglia e don Chitussi, viene raggiunto un compromesso celebrando le esequie nella chiesa di S.Bortolomio, in cimitero. Ad Avilla, memori della contrarietà del defunto verso la loro indipendenza, si vendicano suonando a festa, durante il funerale, le campane della loro chiesa. E quindi di nuovo polemiche, invettive e altro ancora. Una lettera di protesta (18.01.1933) a firma di Nicoloso Angelo, Gallina Riccardo e Tondolo Carlo arriva in Arcivescovado. A Udine la commissione diocesana istituita dalla Curia non approda ad alcuna conclusione concreta e di questo mons. Castellani, pievano di Artegna, informa l’Arcivescovo con lettera del 11.01.1933 affermando che, in assenza di un sincero accordo tra le parti, ogni tentativo di pacificazione sarebbe vano. Nei primi mesi del 1933 diverse petizioni giungono in Curia; scrive (18.01.1933) don Chitussi chiedendo con insistenza di togliere ogni equivoco nella gestione di Sottocolle; scrive il vicario di Avilla (08.02.1933) difendendo i decreti già ottenuti; scrivono anche alcune personalità della Pieve, motivando la necessità di rivedere i confini contestati; riscrivono i dissidenti di Sottocolle (23.02.1933), ribadendo la loro richiesta inerente la benedizione delle case e le pratiche matrimoniali. Questi ultimi, per avvalorare la loro volontà di rimanere uniti alla Pieve messa continuamente in dubbio, con atto notarile del 22 febbraio 1933 sottoscrivono il loro intendimento e dimostrano così di rappresentare la maggioranza delle famiglie di Sottocolle. Infatti, da tale documento risulta che 32 famiglie si sono dichiarate per S. Stefano e 24 per Avilla o neutrali. Il geometra Umberto Barnaba, per portare la discussione dal vago al concreto, predispone una perizia di stima sull’entità dell’area contesa e delle relative rendite ai fini del quartese. A questo punto è opportuno aprire una parentesi per spiegare il perché di una conflittualità tanto insistente sui confini parrocchiali tra le due parti in causa (Vicaria e Pieve arcipretale). Il decreto del 1930, nella zona compresa tra Sottocolle, Ursinins Piccolo e Tonzolano, delimitava i confini in maniera un po’ lacunosa, ma soprattutto a lampante svantaggio della Pieve, perché il canone annuo fissato dal Decreto a favore della medesima non suppliva in maniera adeguata alla perdita subita. Questa infatti non solo perdeva il quartese della gente passata sotto la nuova Vicaria, ma anche il quartese derivante dai terreni appartenenti agli abitanti di Ursinins Piccolo e ricadenti nel territorio della giurisdizione di Avilla. Già quando l’armonia tra due comunità è piena risulta pesante versare una parte del proprio reddito a favore dell’altrui istituzione, figuriamoci cosa possa accadere quando al posto dell’armonia regnano la diffidenza e la litigiosità. Nel nostro caso, il fenomeno dei terreni in grado di avvantaggiare le entrate di Avilla ha una dimensione tale che gli stessi delegati di quella borgata, facenti parte della commissione di revisione, riconoscono la sua anomala ampiezza, quasi per nulla controbilanciata dall’analogo fenomeno, ma invertito nelle parti. Questo è stato forse il principale motivo per cui si è arrivati al “Concordio” del 29.03.1933, che riscrive in tale zona una nuova linea di confine, riconoscendo comunque uno svantaggio per la Pieve da compensare mediante una maggiorazione del canone annuo già esistente di lire cento. Il già citato verbale, denominato appunto “Concordio”,uesto è forse il principale motivo per cui si è arrivati al concordio viene sottoscritto da don Chitussi, Pietro Menis, Molinaro Angelo per S. Stefano, da Tissino Mario, Vattolo Pietro, Forte Umberto per Avilla, alla presenza di mons. Castellani, don Peverini e don Comisso, membri della commissione diocesana, e definisce l’amichevole conciliazione raggiunta per la delimitazione dei confini. Forse è la volta buona! Mica tanto, se il 24 aprile successivo Avilla, ignorando il verbale da poco sottoscritto, insiste sulle sue ragioni e chiede all’Arcivescovo che venga rispettato il decreto del 1931. Finalmente la Curia si decide a fare qualcosa. Con decreto arcivescovile del 02.05.1933 toglie gli abitanti di Sottocolle dalla cura di Avilla e li affida alla Pieve; vieta inoltre che le processioni di Avilla transitino per Sottocolle. Successivamente, con decreto dd. 05.05.1933, vengono rettificati i confini della vicaria sulla base del concordato del 29.03.1933, viene stabilito che gli abitanti di Sottocolle versino il quartese alla Pieve e, di conseguenza, viene modificato il canone annuo a favore della Pieve da 300 a 100 lire. Di fatto si sancisce che la rettifica dei confini e il quartese di Sottocolle sostituiscono il canone annuo stabilito nel 1930 mentre le 100 lire rimaste sono il riconoscimento di quanto convenuto nel concordio. Don Chitussi, da poco nominato arciprete della Pieve, va a benedire le case di Sottocolle: nelle famiglie favorevoli ad Avilla manda in avanscoperta il sacrestano (che lo accompagna) a chiedere il permesso di entrare. Solo due famiglie lo negano. Il vicario di Avilla, tanto per ravvivare il fuoco delle polemiche, torna di nuovo a riscuotere il quartese nelle famiglie di Ursinins Piccolo aventi terreni nella sua giurisdizione, ma viene respinto in malo modo. Come non bastasse ad arroventare gli animi, nel giugno successivo l’Arcivescovo dispone il trasferimento del vicario don Della Stua a Cisterna. I maggiorenti di Avilla protestano per la mancanza del sacerdote e per la modifica dei confini (sic!). Si minaccia anche di ricorrere ad un pastore protestante in mancanza di un prete cattolico. Tale estremo rimedio non sarà necessario in quanto a settembre arriva, come nuovo vicario, il sacerdote don Umberto Ribis di Reana. I sacerdoti di S. Stefano dicono di lui: “Disse di essere venuto con propositi pacifici, ma il suo dire non corrisponde al suo fare”. A novembre, avvicinandosi la data della processione della Madonna della Salute, i dissidenti di Sottocolle, forti dell’ultimo decreto, scrivono in Curia diffidando che alcuna processione di Avilla transiti per la loro borgata. A riguardo della sua celebrazione non si ha alcuna documentazione e si potrebbe pensare che la processione nel 1933 non passò per Sottocolle. La situazione generale è abbastanza tranquilla. La benedizione delle case a Sottocolle non ha dato luogo a sorprese o incidenti di sorta. All’Epifania sei famiglie non accolgono i sacerdoti di S. Stefano, a Pasqua scendono a quattro. Nel maggio del 1934 due fatti clamorosi agitano le acque: il vicario Ribis, facendo le rogazioni, sconfina per oltre 150 metri in territorio della Pieve e ciò provoca l’immediata protesta (11.05.34) dell’arciprete nei confronti del vicario. Poi, nella notte (28/29 maggio) precedente il Corpus Domini, ignoti tracciano sulla casa del signor Ganzitti Giovanni una linea con la calce e scrivono “confine parrocchiale”. Il Vicario denuncia la provocazione ai carabinieri e, naturalmente, del misfatto sono accusati quelli di Sottocolle. Fa anche alcuni nomi, tra i quali Gallina Giuseppe, Tondolo Carlo, Gallina Giacomo, Nicoloso Angelo (Côç), Nicoloso Domenico. Dai riscontri effettuati dai carabinieri, l’accusa risulta infondata in quanto i presunti colpevoli era quasi tutti assenti da Sottocolle perché impegnati a lavorare fuori regione. Successive indagini compiute da don Chitussi, che voleva conoscere la verità, portano alla conclusione che si è trattato di uno scherzo fatto da alcuni mattacchioni di Avilla, tanto per tenere vivace il dibattito sull’argomento. Dopo questi incidenti, che sanno di provocazione, molti chiedono il trasferimento di don Ribis in altra sede. Mons. Castellani, più volte intervenuto come paciere, condivide la proposta e fa conoscere il suo parere all’Arcivescovo. Avvicinandosi la data della fatidica processione di novembre, i dissidenti di Sottocolle rinnovano la loro diffida a non transitare da quelle parti, mentre il Vicario manifesta allo stesso Presule la sua intenzione di guidare comunque il sacro corteo e anche la sua propensione alle dimissioni. La Curia, per saggiare la effettiva volontà delle famiglie di Sottocolle, invia a presiedere la processione il Vicario Generale della diocesi. Nonostante i telegrammi di protesta e le paventate minacce, la processione ha luogo regolarmente e, come conferma lo stesso Vicario Generale, le case di Sottocolle sono state quasi tutte addobbate a festa. Le forze dell’ordine, presenti alla processione, per precauzione avevano relegato per alcune ore le persone più facinorose, per cui, oltre alle solite polemiche, non si sono verificati incidenti particolari. Sostanzialmente però le modifiche apportate dai due decreti alle disposizione originarie non hanno migliorato la situazione; anzi si potrebbe dire che la confusione sia aumentata amareggiando un po’ tutti. L’Arcivescovo a questo punto decide di costituire una nuova commissione diocesana a cui affidare il compito di rivedere ex novo il problema Sottocolle e di proporre una soluzione definitiva. Presidente della commissione è designato mons. Palla. Diffusasi la notizia della nuova commissione, tutte le parti in causa scrivono in Curia per riaffermare le rispettive posizioni. I dissidenti di Sottocolle inviano una delegazione perché sia ascoltata dalla commissione medesima, ma invano. Inviano quindi un memoriale, nel quale ribattono punto per punto le ragioni dei firmatari per rimanere uniti alla Pieve. Scrive anche l’arciprete Chitussi, per protestare contro le insinuazioni fatte nei suoi confronti sia da Avilla che dalle famiglie di Sottocolle; scrive il vicario Ribis per sostenere quanto detto in precedenza e soprattutto per ribadire la sua estraneità alle provocazioni. Scrive anche Molinaro Angelo di S. Stefano, chiedendo di essere ricevuto dall’Arcivescovo per illustrare il pensiero della fabbriceria al riguardo dei confini contestati, Nel mese di dicembre la commissione ascolta singolarmente, separatamente e sotto il vincolo del segreto, tutti i sacerdoti che in qualche modo hanno avuto a che fare o conoscono le problematiche connesse a questa spinosa vicenda: sacerdoti nativi di Buja, cappellani che hanno esercitato a Buja, parroci limitrofi, ecc. Legge inoltre tutte le petizioni e i memoriali pervenuti al riguardo. Con termini attuali si potrebbe dire che essa fa effettivamente una disamina a 360 gradi della situazione. La commissione lavora tutto il periodo natalizio e il 16.01.1935 presenta all’Arcivescovo la relazione conclusiva del lavoro svolto e le conclusioni a cui è pervenuta. Con tale documento essa propone al responsabile della diocesi di rimettere in vigore il decreto istitutivo del 1930 ed annullare i due successivi del 1931 e 1933 per i seguenti motivi indicati nel documento stesso: - Interessi sociali e civili; - Vicinanza geografica alla chiesa di Avilla (400 metri) contro i 1.400 della chiesa di S. Stefano; - Appartenenza della borgata di Sottocolle alla frazione principale di Avilla come evidenziato dal Podestà; - Stato di fatto preesistente (1902 -1930); - Prestigio dell’autorità ecclesiastica diocesana; - Mancanza di motivazioni valide da parte del gruppo di famiglie dissidenti; - Vera causa del dissenso e delle polemiche sono le beghe e gli interessi contrastanti tra famiglie; - La maggioranza riscontrata al momento a favore di S. Stefano è dovuta all’intromissione dei sacerdoti ivi operanti. Prima tale maggioranza non esisteva; - Dagli atti e dalle deposizioni risulta che fu mons. Chitussi nel 1929 a volere l’indipendenza di Avilla senza esprimere contrarietà di principio all’appartenenza di Sottocolle a detta Vicaria; - L’Ordinario diocesano può disporre validamente in materia senza il consenso popolare. Nella relazione contenente le conclusioni di cui sopra, la commissione si premura di evidenziare all’Arcivescovo anche le possibili e probabili complicazioni collaterali che potrebbero sorgere dalla loro applicazione, nonché le contromisure da adottare per evitare danni maggiori. Sostanzialmente essa dice questo: è vero che sul momento le proteste di Sottocolle ed il risentimento dell’Arciprete potrebbero sfociare in iniziative clamorose. Se però il clero coinvolto si adopererà per pacificare gli animi, le cose si comporranno con il tempo. Bisogna quindi non dare alcun seguito ad eventuali nuovi ricorsi avversi al nuovo e definitivo decreto, sostituire i sacerdoti (arciprete e vicario) in caso di una loro conclamata e attiva contrarietà al nuovo decreto, proibire, pena la sospensione a divinis, ogni intromissione del clero, sia nativo che operante in loco, nel dibattito in qualsiasi maniera si manifesti. E’ necessario altresì invitare il Vicario di Avilla ad usare il nuovo provvedimento con una certa iniziale indulgenza, lasciando che qualche sacramento riguardante Sottocolle sia amministrato anche a S. Stefano. E’ d’obbligo, in ultimo, che il Vicario di Avilla saldi senza indugi il debito dovuto all’Arciprete e maturato dal 1930. L’Arcivescovo, letta la relazione della commissione, non agisce subito, ma cerca di preparare le condizioni più adeguate affinché l’emanazione del nuovo decreto non provochi ulteriori guasti. Sta di fatto che qualche cosa trapela fuori dal palazzo vescovile se il 5 di febbraio 1935 mons. Chitussi manifesta all’Arcivescovo la sua amarezza per le risultanze a cui è pervenuta la commissione e la sua intenzione di lasciare la Pieve qualora il nuovo decreto le recepisca. Ma non solo l’Arciprete è informato. Lo sono anche quelli di Sottocolle, se scrivono all’Arcivescovo, in data 14.02.1935, una a dir poco strana lettera. Nella missiva, a firma di Miani Ciro, Gallina Amilcare ed altri, dopo essersi lamentati perché non sono stati ascoltati dalla commissione diocesana come a suo tempo richiesto, scrivono al Presule di essere venuti a conoscenza di quanto la commissione ha proposto grazie alle notizie che arrivavano alle famiglie dalle “serve di Roma”, ossia da parte delle donne, più o meno buiesi, che lavoravano nella Capitale come domestiche. Detto ciò, concludono la lettera preannunciando nuove proteste e diffidando il vicario di Avilla a mai recarsi nelle loro abitazioni. L’Arcivescovo non risponde e va avanti per la sua strada. Il 15.02.1935, con lettera personale e riservata, impone a tutti i sacerdoti, comunque coinvolti nella questione, il silenzio più assoluto sia in pubblico che in privato. Nella stessa data invita l’Arciprete e il Vicario a consentire che, a decreto emanato, i dissidenti di Sottocolle possano servirsi dei sacerdoti di S. Stefano ma con parca misura. Lo stesso criterio vale anche per la riscossione del quartese. Il 14.03.1935 gli irriducibili di Sottocolle inviano in arcivescovado una nuova petizione, dove per l’ennesima volta chiedono che la loro borgata resti unita alla vecchia Pieve. A questa ultima richiesta il vescovo risponde in data 18.03 significando che la commissione ha letto e studiato tutte le petizioni e non ne servono altre. Chiude invitando i firmatari ad obbedire da “fedeli figli”. Preparato il terreno, il 29.03.1935 viene emanato il nuovo decreto che, di fatto, sancisce quanto proposto dalla commissione. Esso convalida il decreto del 1930, annulla i due provvisori successivi del 1931 e 1933 e definisce per sempre i confini come fissati dalla convenzione del 29.03.1933. Il 16 aprile il decreto è pubblicato in chiesa, senza una parola di commento come voluto dalla Curia. A ridosso dell’adozione del nuovo e definitivo decreto non c’è alcuna sollevazione popolare, ma continua per un po’ la schermaglia a colpi di spillo certamente non più coordinata ed accesa come in passato. Dal progressivo ridursi di numero delle petizioni e dal loro tenore si può dedurre che la dissidenza di Sottocolle va perdendo la caratteristica di disagio diffuso e condiviso per assumere i connotati più consoni alla ripicca personale: atteggiamento classico di chi, fattane una questione di principio, non vuole o non è capace di accettare una diversa realtà.
Note (1) sono chiamati “uniati” i cristiani cattolici di rito greco-bizantino dell’Ucraina rimasti uniti al Pontefice Romano. |