La vertenza Avilla-Sottocolle

Capitolo 6

 

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Passata la tempesta si diradano le nubi

 

Merita essere menzionata la lettera del 30.04.1935, scritta da Pietro Menis all’Arcivescovo, dove senza schierarsi a favore o contro il decreto, denuncia i danni che derivano alla comunità quando gli animi delle persone sono percorsi da passioni irrazionali, beghe tra famiglie e contrasti tra campanili. Chiude lo scritto auspicando per Buja un lungo e vero periodo di pacificazione. Una brava ragazza dell’Azione cattolica, probabilmente spaventata dalle dicerie, scrive anch’essa all’Arcivescovo dicendo, allarmata da una spavalda iniziativa assunta da alcuni giovanotti  di Sottocolle come atto intimidatorio, che i dissidenti della borgata sono alla ricerca di un pastore protestante. Effettivamente un pastore protestante visita alcune case ma, quando si rende conte di essere stato strumentalizzato per altri fini, ritorna a casa sua e tutto svanisce come nebbia al sole.

A questo punto, in fase di concreta applicazione del decreto, è interessante lo scambio di lettere tra mons. Chitussi e il Vicario Generale. Il primo, in data 11.04.1935 chiede come deve comportarsi a riguardo dei fanciulli di Sottocolle che frequentano la dottrina cristiana a S. Stefano (uno dei punti di frizione con Avilla).  Il Vicario Generale risponde (12.04.1935) che se l’Arciprete e il Vicario operano di comune accordo, il problema non esiste. Un altro scambio di lettere fa capire quali fossero i problemi e come gli stessi, se mal gestiti o lasciati degenerare, potevano scatenare feroci polemiche. Il 4 maggio successivo, la signora Calligaro Maria (Ciane), abitante ad Avilla, denuncia all’Arcivescovo che il Vicario le ha negato la benedizione della  casa perché lei frequenta il duomo di S. Stefano e non la chiesa di Avilla. Il vicario risponde al Vescovo affermando che la Calligaro è sempre stata contraria alla vicaria di Avilla, contesta ogni sua iniziativa, non frequenta né lascia frequentare dai suoi familiari la chiesa di Avilla. Quando ci sono le processioni, la sua casa è sempre chiusa e non addobbata. Aggiunge che dunque lui non si sente in obbligo di benedire la casa, ma certamente non si oppone che la stessa venga benedetta da uno dei sacerdoti che spesso la visitano. Sempre  in maggio, una lettera a firma “Quei di Sottocolle” diffida il vicario  Ribis ad entrare nelle loro case se non vuole “saltar fuori con le gambe all’aria”. Visto che dalla documentazione agli atti non sono menzionati incidenti di sorta, si può dedurre che la benedizione pasquale delle case  sia stata fatta  “bipartisan” o non sia stata fatta. La parte rimanente di quell’anno non lascia traccia di inghippi. In vista della benedizione post-epifania, gli irriducibili di Sottocolle mettono le mani avanti e chiedono all’autorità civile il permesso di esporre sul cancello delle loro abitazioni un cartello di divieto di ingresso al vicario di Avilla.

Il 6 gennaio 1936, con una lettera all’Arcivescovo, il vicario Ribis fa una panoramica dei vari incidenti di percorso verificatisi dopo l’ultimo decreto, mirando a riportare le cose alla loro reale dimensione. Un matrimonio, voluto dalla famiglia a S. Stefano, è stato di comune accordo dirottato ad Osoppo; un paventato funerale civile non si è verificato perché il malato, candidato al funerale, non è morto ma guarito. Un’altra grana, originata dalla numerazione civica delle case decisa dal Comune (dove, da sempre, Sottocolle è collegato ad Avilla) ed artatamente montata e falsamente attribuita a manovre sotterranee del Vicario,  è completamente estranea alla sua competenza e ingerenza. Infine, per quanto riguarda la benedizione delle case, assicura il Superiore che lui entrerà dove lo riceveranno. Nei primi mesi del 1936 seguono alcune lettere del Vicario di Avilla che chiede ragguagli alla Curia circa l’amministrazione dei sacramenti e lamenta continue invasioni di campo   da parte dei sacerdoti di S. Stefano i quali, a suo dire, ignorano l’ultimo decreto arcivescovile. Chiede inoltre assicurazioni che lo stesso decreto  sia reso di pubblico dominio  a S Stefano da parte dell’arciprete e minaccia le dimissioni se questo adempimento non sarà attuato. Mons. Chitussi, sollecitato dalla Curia a pubblicare il decreto, afferma di voler ricorrere contro la sua applicazione alla S. Sede, poi però, vista la risolutezza dell’Arcivescovo, dichiara la sua buona fede illustrando tutta una serie di fatti, inerenti i rapporti con Madonna ed Avilla, che lo hanno  molto rattristato. Parallelamente il vicario Ribis esprime al vescovo la propria amarezza per le continue critiche a cui è sottoposto. Fuori dal coro, mons. Castellani, in data 4.05.1936, spiega all’Arcivescovo che per pacificare i rapporti tra il clero della Pieve e il vicario di Avilla sarebbe opportuno che quest’ultimo saldasse il famoso debito accumulato negli anni  e mai pagato alla Pieve. A fronte di una ventilata proposta di trasferimento in altre sede, il vicario Ribis fa un riassunto di tutto il lavoro da lui svolto ad Avilla  e rifiuta ogni idea di trasferimento, a meno che non gli venga offerto un posto per lui gratificante. Chitussi da parte sua riafferma all’Arcivescovo la sua contrarietà all’ultimo decreto, ma nega ogni  intromissione sua e dei suoi sacerdoti a Sottocolle.  Nel 1937 crea un certo scalpore il tentativo non riuscito di fare battezzare due bambini della famiglia Ciani a S. Stefano; al rifiuto dell’arciprete, i due padri reagiscono in malo modo, uscendo dal Duomo imprecando ad alta voce, con grande scompiglio tra la gente presente nel tempio. Tutto poi finisce in una solenne e collettiva sbornia presso l’osteria di “Sefe” a Ursinins Piccolo. Passa la sbornia ma restano le polemiche e le amarezze per mons. Chitussi.

Agli inizi del 1938, l’Arcivescovo affida a mons. Castellani il delicato incarico di convincere il vicario Ribis a lasciare Avilla per Rieti. Questi però si impunta e rifiuta nettamente l’offerta dicendo che “se l’Arcivescovo gli ordina di lasciare Avilla, lui obbedisce ma non va da nessuna parte: si ritira a casa sua a Reana”. A questo punto, Castellani suggerisce all’Arcivescovo, tanto per equilibrare le cose, che sia trasferito da S. Stefano il cooperatore  maggiormente additato come fomentatore degli animi a Sottocolle. Non fa il nome del sacerdote, ma dovrebbe trattarsi di don Ernesto Dean. Don Baiutti, parroco di Treppo Grande, rifiutando l’invito a fare a sua volta da paciere nella vicenda, dice all’Arcivescovo che le cose sono componibili solo adottando un compromesso d’intesa tra le parti. L’8 maggio ha luogo un funerale senza sacerdote: ci sono la croce ed il fanale (trafugati all’insaputa dell’arciprete) ma non i sacerdoti. A questo proposito, nell’informativa inviata da Chitussi all’Arcivescovo, questi più che amareggiato per  il funerale in sè, manifesta il proprio disappunto per le polemiche, le invettive e le malignità ampliamente divulgate senza rispetto alcuno. Don Zoilo Piemonte, originario di Buja e parroco ad Ontagnano, anche lui incaricato di convincere una famiglia a non celebrare un matrimonio civile, manifesta al Vescovo la sua opinione che le  famiglie dissidenti sono talmente compatte che, se una volesse cedere su Avilla, le altre sarebbero capaci di togliersi il pane dalla bocca pur di evitarlo. Anche lui suggerisce un accomodamento ed anche la sostituzione del vicario Ribis. Un’ultima lettera del 19.07.1938, a firma di don Giacomo Forte, pure lui originario di Buja, fa presente all’Arcivescovo che buona parte dei dissidi di Sottocolle sono attribuibili al carattere impulsivo e al modo di fare di mons. Chitussi. Sostiene che questi, anziché cercare di calmare gli animi più esagitati, con il suo comportamento li inasprisce ancor di più. A parere dello scrivente, l’Arciprete ha sbagliato anche ad inserire nel Consiglio parrocchiale e nell’Azione cattolica persone abitanti nella giurisdizione di Avilla. Così facendo, ha dato adito a illazioni e voci incontrollate certamente non confacenti al quieto vivere.

Il fermo atteggiamento assunto dalla Curia  per il rispetto ed la piena attuazione del decreto del 1935, convinse indubbiamente tutti, clero e laici, che bisognava trovare una soluzione civile e utile per tutte le parti in causa e soprattutto per la comunità.

Il funerale senza prete e il matrimonio civile o fuori parrocchia avevano perso per la gente il loro originario significato di sfida e avevano  finito per infastidire l’armonia che in fondo tutta la gente desiderava. A conferma che la vertenza di Sottocolle, pur nella virulenza di certi fatti eclatanti, mai ostacolò il dialogo e la  civile collaborazione tra la popolazione di Avilla e quella di S. Stefano nonché delle altre frazioni di Buja, sta il fatto che, mentre a Sottocolle qualche morto andava al cimitero senza sacerdote, a S. Stefano la gente di Avilla, per un accordo raggiunto tra le parti, contribuiva ai lavori di costruzione della nuova facciata del Duomo asportando le pietre della preesistente struttura. Queste pietre saranno poi utilizzate nell’ampliamento della chiesa di S. Pietro Apostolo di Avilla.

 

 
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