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L'intervento del Consigliere BRUNO PERINI (Gruppo PCI)
Alvio Baldassi - Monte, la tendopoli.
Si è parlato e si parla per questa sera di "Commemorazione" di quella data che ha segnato in tutti i sensi Buja e il Friuli: il 6 maggio 1976. Non vorremmo che la nostra commemorazione si limitasse a celebrare ritualmente, cane troppo spesso si è tentati a fare, quell'evento. Riteniamo invece indispensabile usare la scadenza temporale per volgere il nostro sguardo a questi dieci anni così freneticamente vissuti. Volgere lo sguardo per riflettere, per mettere in discussione ciò che è stato fatto e magari perchè è stato fatto in questo modo. Una riflessione non fine a se stessa ma che sappi a essere il fondamento di ogni politica futura. Certamente, poiché oggi si impone enorme il problema delle prospettive sociali, culturali ed economiche del nostro territorio. Prima di tutto vediamo, quindi, ciò che è stato fatto, con la necessaria premessa che in questa sede e occasione, ci si limita ad un bilancio complessivo poiché non si rivela possibile evidentemente, un'analisi dettagliata, per quanto auspicabile essa sia. Se il terremoto del 6 maggio 1976 e le scosse successive avevano devastato ciò che l'uomo aveva faticosamente costruito nell'arco dei secoli, dieci anni sono bastati perchè la comunità di Buja con l'apporto determinante della solidarietà nazionale ed internazionale riuscisse a ricostruire più del 90 % degli alloggi distrutti. E' un dato indubbiamente positivo. Noi pensiamo però che un giudizio non possa riguardare unicamente l'aspetto quantitativo della ricostruzione ma che anzi ciò che la caratterizza e qualifica è il modo in cui si è espletata. Parlare del come si è ricostruito significa sostanzialmente affrontare due questioni: la prima è politica, e riguardale procedure usate, come e da chi sono state prese le decisioni; la seconda è più complessa e riguarda la qualità del processo ricostruttivo e abbraccia problemi economici e culturali. Ebbene il giudizio dei comunisti a questo proposito, per entrambe le questioni, non può essere positivo. -Il primo ottobre 1976 tutti i gruppi politici rappresentati in Consiglio Comunale, la D.C., il M. F., il P. S. I. e il P. C. I., approvano un documento programmatico che, cito testualmente, "impegna la Giunta Comunale e tutti i gruppi consiliari firmatari ad operare unitamente per la sua puntuale attuazione". E' un documento interessante, molto interessante, da andarsi a rivedere. Non è nostra intenzione ora riassumere i molti punti che vi si affrontavano, ci preme sottolineare soltanto quelli politici. La stessa presenza di un programma complessivo suonerà certamente nuova a chi ha lavorato e lavora in Consiglio Comunale negli ultimi anni e a chi, come a noi Comunisti, si è trovato a lamentare continuamente la mancanza di programmazione. Più volte nel documento si fa esplicito riferimento alla necessità di avviare un processo di ricostruzione su basi democratiche, con "l'utilizzazione di tutte le risorse umane e intellettuali presenti in Consiglio Comunale", con l'istituzione dei Consigli di Frazione definiti "indispensabili organismi di consultazione e partecipazione democratica". Noi crediamo che tranne per un brevissimo periodo, queste intenzioni sono rimaste tali. La Democrazia Cristiana ha governato accettando molte volte con insofferenza le altre forze politiche dimostrando di ritenere o affermando esplicitamente inutile la dialettica democratica. Certo, l'analisi del funzionamento della politica amministrativa rivela una completa corrispondenza tra i bisogni avanzati dai singoli cittadini e le risposte offerte dall'Amministrazione Comunale. La maggiore preoccupazione di quest'ultima è stata sempre quella di soddisfare le iniziative e le scelte dei privati, subordinando a queste programmi di sviluppo che diano priorità a piani di più ampio respiro collettivo. E questo sistema di scambio tra il personale e il politico spiega quel vasto consenso che attualmente sostiene la classe politica dirigente. Questo perfetto e reciproco sistema di scambio è sorretto però da un impianto ideologico che presuppone l'esistenza dei soli bisogni "privati" e dimentica quelli sociali. Ed è in questo campo che riteniamo del tutto insufficiente la politica della Democrazia Cristiana, priva di un piano in grado di dare una chiara risposta ai problemi dell'intera comunità e quindi di creare i presupposti per una rinascita non solo fisica ma anche economica e culturale del nostro paese. E qui siamo arrivati alla seconda questione, più complessa è stato detto, della qualità di ciò che è stato fatto. Mentre una delle parole d'ordine del primo dopo - terremoto sembrava essere "Buja deve rinascere come prima", l'indirizzo scelto dagli amministratori di Buja è stato quello di una ulteriore frammentazione e anarchica dispersione sul territorio del tessuto urbanistico con tutte le conseguenze che questo comporta. Chi si è accollato il peso delle decisioni in effetti non ha assolutamente programmato, non si è preoccupato di pensare a quel lo che sarebbe stato il volto di Buja al la fine del processo ricostruttivo, non si è preoccupato del "valore" della realtà insediativa che andava a comporre. Si è proceduto, nella per noi ingenua convinzione, che soddisfare gli interessi di ciascun cittadino di Buja avrebbe significate alla fine ricomporre un'unità o delle unità in cui tutti insieme si riconoscessero. L'assenza di un piano organico, per quanto criticabile, a livello urbanistico, affiancata alla pressoché totale messa da parte dell'elemento storico-culturale, hanno fatto si che si arrivasse alla costituzione di un paese privo di una sua identità architettonica. Noi pensiamo che un'occasione storica sia stata perdita e ci chiediamo preoccupati quali effetti potrà avere sulla nostra vita culturale ( nel senso più vasto che questa parola possiede) un ambiente che ci troviamo mutato in questo modo. - Il processo ricostruttivo in questi dieci anni ha significato per il nostro territorio un'euforia economica generale, la crisi che scuoteva l'Italia intera è stata per noi sempre all'orizzonte. L'edilizia ha funzionato realmente da volano per l'economia intera: tutto evidentemente ha ruotato attorno a questo settore. Ma quando il cantiere ha avviato la sua smobilitazione, la crisi a fatto il suo ingresso anche da noi in forme magari più accentuate. Nella ricostruzione non sono stati usati unicamente i contributi dello Stato, ma il bene - rifugio - casa ha assorbito interamente, o in buona parte, i risparmi, sia per la corsa dei prezzi, sia per le caratteristiche delle abitazioni, quanto più lussuose e confortevoli possibili» Gli utili immagazzinati dalle imprese sono per lo più reinvestiti nel settore edilizio, questa volta però senza la possibilità di creare nuova occupazione poiché i capitali risultano letteralmente immobilizzati. - E qui arriviamo all'ultimo punto, quello che i Comunisti ritengono il più importante, quello che deve vederci tutti attenti e impegnati: il nostro futuro. Se per lungo tempo il nostro sforzo è andato alla ricostruzione fisica ora deve essere rivolto senza indugi alle prospettive economico-sociali del nostro territorio. Dobbiamo tutti chiederci quali prospettive si aprono per i giovani oggi, noi non crediamo che l'emigrazione si possa definire una prospettiva. Certo, problemi di questo tipo non si risolvano a livello comunale, ma se da noi non partono proposte, se non abbiamo la preoccupazione costante di trovare soluzioni valide, allora corriamo il grosso rischio di trovarci domani a di spiacerci della nostra imperdonabile miopia. Accanto al completamento dell'opera di ricostruzione, diversi problemi rimangono aperti: - tutt'ora nelle "baracche" vivono circa 200 cittadini Bujesi, mentre già ci si chiede quali saranno le destinazioni delle aree occupate dai prefabbricati. - la disgregazione sociale che colpisce in particolar modo i soggetti più deboli, ha accentuato fenomeni già presenti, quali ad esempio l'alcoolismo, introducendone di nuovi come la droga. - l'ambiente non può più sopportare interventi che non ne considerino il valore (da ultimo il progetto di sistemazione e ricalibratura del fiume Ledra) e non sappiano quindi operare per garantire la qualità del suo assetto territoriale. Compito improrogabile che ci si pone è una politica del territorio e dell'ambiente che sia in grado, da una parte di combattere i fattori di degrado e dal l'altra di avviare un concreto progetto di riqualificazione e rivalorizzazione. - Alla base di ogni nostro intervento dovrà esserci l'individuazione delle risorse: umane, naturali, finanziarie che definiscono la specificità del territorio, le sue potenzialità di sviluppo. Quali sono le potenzialità di sviluppo per Buja e la sua zona, la zona collinare ? Quale sviluppo per Buja ? E ancora, sono in grado l'artigianato e la piccola impresa di offrire prospettive concrete ? Solo la coscienza dettagliata della dotazione delle risorse disponibili, comprese quelle umane, può permettere di dare una risposta seria a queste domande. – Il Comune non può rimanere inerte, amministrare l'esistente, ma deve operare accanto agli altri Enti Locali poiché è necessario un opportuno orientamento di tutte le risorse disponibili. |