I GALLINA A BUJA    -     Capitolo 6

 VAL DI SOLE

I GALLINA A BUJA

 

 

Diverse testimonianze, come abbiamo visto, concordavano nel dire che “noi Gallina veniamo dalla Val di Sole” e così, mi è venuta la curiosità di approfondire questo argomento.

Dapprima consultando la carta geografica, ho visto che è una valle piuttosto importante del Trentino che si snoda lungo il corso del torrente Noce. Inizia a una trentina di chilometri circa a nord di Trento e termina al passo del Tonale dove inizia la provincia di Brescia. 

Lungo la Valle non vi sono grossi centri, pertanto è stato abbastanza semplice trovare i nomi di alcuni comuni e, consultando l’elenco telefonico, verificare se per caso ci fosse la presenza del cognome “Gallina“ .

La ricerca non è stata difficile poichè in un solo paese della Val di Sole c’erano persone con questo cognome e questo comune è Pellizzano, un piccolo centro situato nella parte più alta della valle. Questo fatto mi ha incuriosito ancora di più e così ho deciso di fare un tentativo per vedere, anche se ci speravo poco, se riuscivo a trovare la prova “scritta” (oltre che verbale) che la nostra origine era proprio lassù.

Ho deciso perciò di scrivere al Parroco di Pellizzano, raccontandogli un po’ delle mie ricerche e inviandogli copia di tutto il materiale finora raccolto: lo pregavo, se possibile, di controllare alcuni dati nel suo archivio parrocchiale o di mettermi in contatto con qualcuno che eventualmente fosse interessato a questo argomento.

Passati pochi giorni .....ecco la sorpresa !

Una sera squilla il telefono e al mio “pronto” mi risponde il signor....... Silvano Gallina, sindaco di Pellizzano. Veramente era più di quanto avessi potuto sperare, infatti il signor Gallina, quasi coetaneo, era molto interessato alla mia ricerca e possedeva già dei dati, visto che a Pellizzano era stata fatta una approfondita ricerca genealogica (in due volumi) su tutte le famiglie del paese fatta dal Dott. Franco Ambrosi, i cui genitori erano di Pellizzano, ma che ora risiede a S.Donà di Piave.

Dopo diverse telefonate, in cui abbiamo approfondito la nostra conoscenza, ho deciso che era venuto il momento di conoscere questa famosa “Val di Sole” e così, siccome si avvicinavano le vacanze natalizie, mi sono organizzato per trascorrere alcuni giorni lassù, nei luoghi d’origine, e fare conoscenza col mio nuovo amico e probabilmente chissà ......... lontano parente!

Così il 3 Gennaio del ‘95, assieme alla mia famiglia, sono partito per il Trentino e ho trascorso quattro bellissime giornate in questo delizioso paesino di montagna che è appunto Pellizzano. Qui oltre che conoscere meglio il sindaco Silvano e la sua famiglia che ci hanno accolti con simpatia e tanta disponibilità, ho potuto approfondire tanti argomenti e ricavare inoltre molte notizie interessanti.

La fortuna ha voluto che negli stessi giorni  in ferie a Pellizzano ci fosse anche il Dottor Franco Ambrosi autore della ricerca genealogica, che Silvano mi ha fatto subito conoscere.

Le sue ricerche fanno risalire la presenza del cognome “Gallina” agli inizi del milletrecento, ora con ordine proverò a raccontare quello che ho appreso da lui e da Silvano nei giorni trascorsi lassù.

Pellizzano è un comune che conta novecento abitanti circa, seicento dei quali abitano a Pellizzano paese, i restanti nelle due frazioni Castello e Termenago e vi si parla un dialetto che assomiglia moltissimo al bresciano.

Da ricordare che queste terre passano all’Italia dopo la guerra del ‘15-18, il fronte era al passo del Tonale a Pellizzano funzionava un attrezzatissimo ospedale militare austriaco. Questo significa che i Gallina a quei tempi combatterono probabilmente su fronti opposti.

Si racconta che i Gallina provengano proprio dalla frazione di “Castello”, arroccata su un fianco della montagna che sovrasta Pellizzano e che solo più tardi si siano trasferiti a valle. Il primo documento in cui viene citato un “Gallina” si trova a Trento in data 1253.

In paese si trova "la casa", ancora di proprietà dei Gallina, costruita agli inizi del milleseicento, che poi con il tempo è stata ristrutturata (è stata aggiunta la scala esterna) è attualmente abitata dalla una zia di Silvano (Zita).

Bartolomeo (1728) e Gio Domenico (1715) entrambi figli di Francesco (1683-1735) daranno i “soprannomi” ai Gallina di Pellizzano, “Galinoti” si chiameranno, (e si chiamano) i discendenti del primo, “Speziai“ del secondo.

Silvano fa parte dei “Galinoti”, l’altro ramo dei Gallina ha questo soprannome poichè, per tradizione, svolgono la professione di farmacisti.

Il padre di Silvano, Mario, racconta che il nonno costruiva e riparava padelle in rame, tant’è che in cantina ci sono ancora gli attrezzi del mestiere.

Le famiglie “Gallina” hanno dato alla comunità ben quattro Parroci, un Viceparroco (Don Luigi 1832-1903), un medico, cinque farmacisti, diversi capicomune (erano così chiamati sotto l’amministrazione austriaca) e sindaci.

Era tradizione nel passato che una famiglia del paese curasse per cento anni i beni della chiesa (nel comune); ebbene i Gallina dal 1700 al 1800 svolsero questo compito e questo spiega forse la tendenza della famiglia a dedicare il proprio tempo al servizio della comunità, cosa che si è poi tramandata di generazione in generazione.

Gallina Angelo (nonno di Silvano) fu Capocomune prima (sotto l’Austria) e Sindaco poi (sotto l’Italia) per ben ventitrè anni, dall’ agosto 1903 al 1926. C’è un detto in paese, quando si vuol dare del testardo a qualcuno: “set dûr come en Galinot“ ; si vuole che il detto nasca durante l’amministrazione di Angelo e il perchè non credo abbia bisogno di ulteriori spiegazioni....

Dal 1945 al ‘53 Domenico Gallina è capofrazione di Pellizzano e suo figlio Enrico sarà poi sindaco del paese dal 1976 fino al ’80, quando venne scalzato da un altro Gallina.

Quest’altro Gallina è proprio Silvano che a soli ventisette anni viene eletto per la prima volta sindaco (il sindaco più giovane d’Italia a quel tempo) e riconfermato poi nelle elezioni del ‘85 e del ‘90 (quest’ultima volta con una percentuale del 78 % dei voti !).

Nel ‘95 ha deciso di dimettersi, sei mesi prima della scadenza del mandato per motivi personali e professionali.

Ritornato a casa, ho avuto altre conferme e sorprese sulla provenienza dei Gallina dalla “Val di Sole”, infatti Egidio Tessaro (figlio di Alma Gallina) mi ha confermato di ricordare perfettamente di averlo sentito più volte ripetere da suo nonno “Min” (Giacomo Gallina) .

Ma la vera sorpresa è stata una frase, detta così per inciso, da Imelda Gallina che, parlando di questi argomenti, all’improvviso mi ha detto:


"’e disevin che chel vignût di lâ, al lavorave el ram” 
(dicevano che questo Gallina lavorava il rame)

 

Subito ho ricordato le testimonianze di Mario, il papà di Silvano, e per avere conferma ne ho parlato con mio padre. Mio padre mi ha detto:

 

 “T’al vevi pursi dite che lôr ‘e fasevin i “battiram” e ch’e giravin pai paîs a cirî lavôr” 

(Te lo avevo già detto che loro facevano i “ battirame ” e giravano per i paesi in cerca di lavoro) .

 

Aggiunse di aver sentito suo padre raccontare che, nei primi anni, ogni tanto passava qualche parente da queste parti a salutare. Naturalmente prima non me lo aveva mai detto, o forse ero io che non avevo dato importanza a questo fatto.

Decisi quindi di approfondire l’argomento, poichè se fossi riuscito a raccogliere ulteriori prove riquardo alla professione esercitata dai nostri avi, avrei potuto avere una conferma in più sulla veridicità della nostra provenienza dal ceppo dei “Gallina” dalla “VAL DI SOLE” .

Così sono tornato da Olinto che mi ha detto di non aver mai sentito nulla a riguardo, poi da Lucia che alla domanda:

“Che lavoro facevano i Gallina venuti dalla Val di Sole ?”, mi ha risposto subito con sicurezza:

 

i Battirame” e aggiunse pure lei “ma, mi pâr di vêtal zà dite” (mi sembra di avertelo già detto).

 

Anche Corinna mi ha detto la stessa cosa:

 “ ’e vendevin robe fate in ram”  

(vendevano manufatti di rame).

 

Ecco allora forse chiarito l’atto di matrimonio di Rosa (secondogenita di Andrea (II)) che alla voce paternità diceva “artigiano di Treviso”, ora sappiamo che probabilmente aveva ripreso il lavoro dei padri.

A questo punto andai da Liliana e Giannina figlie di Giacomo (il Quarantesimo......)

 

(16) Ricordano Giannina e Liliana

 

“....... ‘e disevin ch’e vignevin dal “Trentino”....... dal “Tirolo” , insome, di chei puesc’ lì e che di mistîr e lavoravin el ram, ‘e disevin ancje che no son vignûs diretamentri a chi dal Trentin, ma che prime si jerin fermâs tal Venit , a Vittorio Veneto mi pâr”.

 

Mi hanno raccontato poi del papà (Giacomo), che fu sindaco a Buja nel 1963, dei nonni e bisnonni che facevano i “Capuzas” in Germania, e anche in altri paesi dell’est, ho risentito le stesse testimonianze fatte da Olinto e da mio padre, di un lavoro stagionale duro ma che “rendeva abbastanza” e c’era pure qualche anno in cui qualche imprevisto faceva saltare tutto il frutto di una stagione.

Inoltre mi hanno raccontato che le mogli, nonostante le distanze (per quei tempi giorni e giorni di viaggio), andavano spesso a trovare i mariti in fornace.

Il ricordo di quanto accadde nel 1903 è ancora forte.

 

(17) Ricordano Giannina e Liliana

 

Nono Giobatta a diferenze di tanc’ altris nol à mai volût puartâ so fi (Giacomo) a fâ le stagjon cun lui, al diseve simpri “nol à di fâ chest mistîr chi, Lui ...”.

......... Les femines a turno e làvin a cjatâ i lôr omps in fornâs, e chês ch’e restavin a cjase ‘e viodevin dai frus, insieme des sûrs che no jerin sposades (figlie di Giobatta).

Chel an j sares tocjât a Luigia di lâ in Gjermanie a cjatâ l’omp (Enrico) ma al jere di pôs mês ch’e veve vût le frute (Claudia) e nestre none Maria Teresa (moglie di Giobatta) le veve convinte a lassâle lâ jê al so puest.

Il destin al à volût che chel an lì in Gjermanie propit quanche jê ‘e jere lassù Enrico (marito di Luigia) al è muart sul lavôr.

Luigia in vite, no à plui smenteât el fat che chel an lì ‘e vares di jessi stade jê a lâ in Gjermanie, e ‘e à vût simpri come un’ ombre viers none, che le veve convinte a no lâ .

 

Quanto mi aveva precedentemente raccontato Olinto però dimostrava che, forse, era stato molto meglio così .......

 

(18)

“Enrico al è muart in Gjermanie, al à fat une muart tremende, intant ch’ al lavorave al è restât cjapât in tes cinghies di une machine par fâ modon , ‘e disevin chei ch’e vevin vût el coragjo di lâ a viodi, ch’al à fat no si sa tros gîrs, sbatint el cjâf par tiare al veve parfin rot el paviment restant ae fin decapitât”.

 

 

AL  PROSSIMO  CAPITOLO