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L’esperienza democratica a Padova.

La rivoluzione accompagnata in Italia dall’avanzata delle truppe francesi del generale Bonaparte suscita nelle città e nelle campagne della Terraferma veneta sia la speranza che l’opposizione nei confronti della possibilità di un rinnovamento. Questa opposizione si manifesta chiaramente nelle giornate della rivolta di Verona, tra 17 e 24 aprile 1797, quando una sommossa antifrancese più che antidemocratica vede scontrarsi cittadini e soldati. Nella speranza di rimanere ai margini del conflitto e di conservare intatto lo status della Repubblica, Venezia già l’anno precedente si era preoccupata di dichiarare la sua neutralità, ma il breve volgersi degli eventi del 1797, i fatti di Verona, la dichiarazione di guerra da parte di Napoleone, i preliminari di Leoben, rendono possibile l’emancipazione della Terraferma veneta dal rapporto diretto con la Serenissima. Questo processo, favorito dall’avanzata delle truppe francesi che creano instabilità politica, porta le città venete a prendere le distanze dalla Dominante e a proclamare libertà e indipendenza[1].

La scomparsa delle istituzioni della Serenissima dai territori dell’ex dominio è immediatamente seguita dalla nascita di forme statuali nuove che richiamano ideali politici e sociali della Francia rivoluzionaria, tuttavia il giacobinismo veneto[2] non costruisce teorie sulle forme migliori di governo o dottrine dello stato ma agisce soprattutto nel concreto. Ogni città dell’ex stato veneto sceglie individualmente ed autonomamente il proprio destino politico durante la rivoluzione del 1797, ciononostante il fenomeno è in parte unitario, in tutte infatti è presente il progetto di annessione alla Repubblica Cisalpina, come è altrettanto costante il richiamarsi delle municipalità alle idee rivoluzionarie nello svolgere la propria azione politica.

Prima di dare il via ad azioni diplomatiche per tentare di realizzare la dedizione alla Cisalpina, da parte delle città venete arrivano a Venezia segni di esaltazione per l’avvenuta rivoluzione: da una parte si compiacciono della politica estera veneziana che ha ottenuto la pace con la Francia , dall’altra cercano in ogni modo di prenderne le distanze, per scrivere autonomamente la propria storia. All’indomani della caduta della Serenissima, Venezia stessa auspica la formazione di una repubblica che comprenda tutto lo stato veneto, e si preoccupa di esplorare a Campoformio le possibilità di una eventuale annessione alla cisalpina. Questi tentativi diplomatici non vanno a buon fine, ma il dibattito intorno alla formazione di una repubblica veneta prosegue. Le città della Terraferma, attraverso l’agognata annessione alla cisalpina, cercano di conquistare, seppur individualmente, autonomia politica da Venezia; i proclami emanati dalla municipalità di Venezia per rassicurare l’ex dominio delle proprie intenzioni non egemoniche non valgono a superare la diffidenza e a intavolare le trattative[3].


[1] Silvano G., Padova 1797: laboratorio di una rivoluzione, in La Municipalità di Padova (1797), a cura di A. Balduino, Marsilio, Padova 2002, p. 4.

[2] Il movimento fatto di uomini, idee e programmi di governo che si sviluppa nel 1797 in area veneta, viene chiamato giacobinismo. Dal punto di vista strettamente storico ciò è anacronistico, dal momento che già dal 1794 i giacobini non sono più al governo nemmeno in Francia. Tuttavia il fenomeno culturale ha risonanza e dimensioni europee, e nei diversi contesti politici e sociali in cui si esprime richiama a quell’esperienza, portando, sia pure in tempi e modi differenti, istanze di radicale rinnovamento. In particolare i giacobini veneti e padovani sono i propugnatori di una politica profondamente rivoluzionaria in campo sociale e istituzionale nei confronti del passato regime, ma siccome il termine giacobino in area veneta è diffuso in senso dispregiativo, i rivoluzionari veneti scelgono di chiamarsi democratici. Le municipalità venete sono connotate e si identificano come democrazie, il termine giacobino riferito a idee e uomini di area veneta non deve dunque essere inteso ad evocare alcuna stretta discendenza dal giacobinismo francese. Id., Padova democratica (1797), Marsilio, Padova 2000, pp. 11-13.

[3] Ibid., pp.35-39.