RITORNA AL TESTO PRECEDENTE 13 SUCCESSIVA

3.3 Illuminismo veneto.

I canali di penetrazione dei “lumi” all’interno della società veneta sono molteplici, dalle pubblicazioni, ai libri, pamphlet, giornali, talvolta anche la conoscenza diretta attraverso viaggi o scambi epistolari. Le maglie della censura sono piuttosto larghe, e non è difficile eludere i controlli e diffondere testi proibiti. Inoltre è importante la diffusione degli scritti dei filosofi veneti. L’influenza della cultura francese appare in fin dei conti piuttosto vasta, a testimonianza di ciò basta osservare le varie derivazioni dalla lingua francese nel veneziano del Settecento, o l’influenza francese nei generi letterari come il romanzo, sul teatro o sul giornalismo[1]. L’alternativa culturale di cui si fa promotrice la stessa Venezia, l’ambiente universitario e i tradizionali legami dell’accademia patavina con le Università europee, con il vivace dibattito che le lega, fanno della Serenissima un ambiente culturale laico aperto alle novità e sensibile alle problematiche ideologiche[2].

La cultura veneta del Settecento è alimentata, più che da originali teorie di studiosi locali, dal libero e aperto dibattito su opere e contributi del pensiero moderno, possibile grazie alla florida attività editoriale, una delle più importanti in Europa, che non conosce periodi di crisi significativa. La repubblica di Venezia fin dagli esordi della stampa non ha mai delegato alla Chiesa il controllo sull’editoria, inoltre l’esistenza di legislazioni molto differenti tra Stato e Stato rende possibile in Italia eludere molto facilmente i meccanismi di controllo, e l’accesso ai libri proibiti è relativamente più semplice rispetto agli altri Stati europei in cui il sistema di censura è centralizzato[3]. La politica culturale della Serenissima si è sempre posta in antitesi con le direttive controriformistiche provenienti dal concilio di Trento, e ha adottato strumenti repressivi e di censura posti sotto il controllo diretto dello Stato, molto attenti a sorvegliare il dibattito politico interno, ma disposti a favorire la circolazione di opere a stampa di ogni genere[4]. In area veneta e in particolare all’interno della cerchia di studiosi che ruotano attorno allo Studio patavino e alla redazione del “Giornale de’ Letterati”, la tradizione filosofica si ispira allo sperimentalismo galileiano, al metodo cartesiano come applicazione del dubbio metodico, e al meccanicismo, come tentativo di risoluzione dei problemi della scienza moderna senza ricorrere al finalismo. In questo senso va visto l’impegno di molti studiosi a confutare alcuni aspetti delle teorie newtoniane e l’adesione critica se non la netta avversione nei suoi confronti degli scienziati veneti anche nel momento in cui la fama di Newton è incontestata in tutta Europa[5]. I frequenti tentativi di ripetere e confutare gli esperimenti newtoniani sollevano anche un grave problema a lungo discusso, riguardo l’interpretazione univoca degli esperimenti scientifici pretesa dallo scienziato inglese, su questo argomento si dividono generazioni di scienziati per tutto il XVIII secolo. A conferma di un atteggiamento molto diffuso nei confronti della scienza newtoniana che consiste nell’accettarne solo i risultati incontrovertibili, rifiutandone le scelte di fondo, un’opera del padre somasco Giovanni Crivelli[6] del 1731, Elementi di fisica, viene molto apprezzata in tutto il territorio della Serenissima e conosciuto anche in altre parti d’Italia. La notevole diffusione di questo testo è testimoniata dalla sua seconda edizione del 1744, e dall’adozione come libro di testo nel Seminario patriarcale dei Somaschi di Murano. Il Crivelli mette in campo una singolare reinterpretazione della scienza moderna, alla luce di un rinnovato aristotelismo, e testimonia un grado di conoscenza delle teorie newtoniane piuttosto diffuso, non riservato a pochi intellettuali, ma ad un pubblico ben più vasto. Si evince chiaramente il rifiuto del finalismo teologico di Newton, che contrappone l’atteggiamento degli intellettuali veneti rispetto ai cattolici illuminati[7]. Questa contrapposizione va al di là di specifiche diatribe strettamente scientifiche, ma coinvolge tutta l’interpretazione della meccanica celeste, il rapporto tra Dio e la natura, tra la scienza moderna e la teologia.


[1] Preto P., L’Illuminismo veneto, in Storia della cultura veneta, Il Settecento, vol. 5 I, a cura di Neri Pozza Editore, Vicenza 1985, p. 9.

[2] Ibid., p. 9.

[3] Braida L., Circolazione del libro e pratiche di lettura nell’Italia del Settecento, in Biblioteche nobiliari e circolazione del libro tra Settecento e Ottocento, a cura di G. Tortorelli, Bologna, Pendragon, Bologna, 2002, pp. 17-21.

[4] Ferrone V., Scienza, natura e religione. Mondo newtoniano e cultura italiana nel primo Settecento, Jovene, Napoli, 1982, pp.237-238.

[5] Ibid., pp.245-248.

[6] Padre Giovanni Crivelli pubblica il suo primo saggio scientifico nel 1725, Delle forze motrici, dedicandolo all’abate A. Conti, cui fa seguito l’anno dopo la Memoria sulle forze vive, una dissertazione fisico-matematica che si inserisce nella polemica suscitata dal Leibniz mezzo secolo prima quando, allontanandosi dalle concezioni cartesiane, ridefinisce lo stato di moto-quiete dei corpi. Per Leibniz esistono due stati di moto-quiete dei corpi, cui corrispondono rispettivamente una forza viva e una forza morta che fanno sì che un corpo sia o non sia in movimento. Il Crivelli difende la concezione di Cartesio, rifiutando la distinzione tra forze vive e forze morte, e negando a queste ultime la possibilità di produrre movimento, ovvero velocità, in un corpo. Per cogliere le contraddizioni insite nella formula leibniziana Crivelli si serve delle teorie galileiane attraverso l’esperienza pratica della caduta dei gravi, aprendo la strada alla considerazione del fattore tempo. Giovanni Crivelli scrive anche manuali destinati alle scuole della Repubblica di Venezia, come gli Elementi di aritmetica numerale e letterale e la Nuova elementare di geometria, per arrivare nel 1731 alla pubblicazione degli Elementi di fisica. Qui riprende gli argomenti sulle leggi del moto e sulle forze vive, e correda la seconda edizione di quest’opera, uscita postuma nel 1744, di nuove aggiunte e corollari. Padre provinciale e rettore del seminario di Murano, viene associato per meriti scientifici all’Accademia di Bologna, a quella di Berlino e alla Royal Academy di Londra. Da De Ferrari A., Crivelli Giovanni, in Dizionario Biografico degli italiani, vol. 31, Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani, Roma, 1985, pp. 138-139.

[7] Ferrone V., Scienza, natura e religione, pp.257-260.