4.1.2 L’età delle riforme.
Nel Veneto degli anni ’60 del Settecento avviene un mutamento culturale che si esprime nel decreto del settembre 1768, alla base di tutte le future iniziative del governo in campo scolastico-educativo fino alla caduta della Serenissima.
Il progetto di riforma delle istituzioni educative indica come fonte di finanziamento i proventi della vendita dei beni ecclesiastici confiscati, e si muove per prima cosa operando una ricognizione sulle strutture scolastiche presenti sul territorio. I decreti del 1768-70 prevedono che le scuole dei sestieri (scuole di grammatica latina) di Venezia diventino scuole primarie statali, il riordino del calendario scolastico, l’abolizione del latino, la formazione di classi suddivise per età che possano usufruire di libri di testo gratuiti, contestualmente a un aumento dei salari per i maestri, forniti anche di misure previdenziali[1].
Successivamente al 1773 avviene un blocco delle riforme e del movimento progressista, le divisioni politiche e sociali tra i patrizi impediscono il decollo delle riforme amministrative dello Stato, del piano postale e daziale e della revisione dei bilanci generali, ma nel settore scolastico lo spirito innovatore non si arresta del tutto. Nello stesso anno la soppressione della compagnia di Gesù, carica il governo marciano del problema del vicariamento dei collegi, chiese, ospedali gestiti dalla Compagnia fino a quel momento, spingendolo ancora una volta a prendere su di sé il problema scolastico. Per quanto riguarda Venezia il punto di arrivo dei progetti di riforma scolastica, dopo l’espulsione dei Gesuiti, è il Piano di riforma organico di Gaspare Gozzi formulato tra 1773 e ’74, che sarà attuato, seppure parzialmente, solo nella città di Venezia. La soppressione dell’ordine dei gesuiti permette la conversione dei loro collegi in scuole pubbliche e stimola la trasformazione a Venezia delle scuole dei sestieri in moderne scuole elementari[2]. Durante tutta
Le riforme scolastiche delineate dal governo veneziano non possono non tenere conto dell’istruzione di una parte culturalmente rilevante del tessuto sociale veneto: il clero. Inizialmente si pensa di affidare l’istruzione dei chierici agli ex gesuiti, nell’ambito degli istituti che devono affiancare la struttura dei due seminari, patriarcale e ducale, che non vengono soppressi. Dal ’75 all’interno degli istituti sono introdotti due nuovi insegnamenti, teologia dogmatica, affiancata alla morale, e lingua greca ed ebraica, al fine di favorire la frequentazione delle scuole da parte dei chierici. Dal 1781 nuovi provvedimenti a favore del clero veneziano vedono l’aumento del numero dei chierici ospitati presso il seminario patriarcale di Murano. Nel 1784 è istituita una cassa che assegna 9.000 ducati annui per l’istruzione del clero, l’anno dopo un decreto stabilisce che i chierici possano apprendere le nozioni elementari in scuole specifiche situate in ogni sestiere, mentre per l’istruzione superiore debbano rivolgersi a scelta a tre istituti, uno dei quali non di ispirazione religiosa, scuole che saranno soppresse dalla municipalità del 1797[4].
[1] Preto P., Le riforme, in Storia di Venezia, VIII, pp125-126.
[2] De Vivo F., Riflessi della presenza dei Francesi nella scuola padovana, in
[3] Gullino G., Educazione formazione istruzione, pp. 769-783.
[4] Ibid., pp. 775-777.