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4.2 La Lombardia austriaca.

4.2.1 Le riforme dei principi illuminati: Maria Teresa e Giuseppe II.

Nel novembre 1765 Maria Teresa avoca a sé la direzione di tutte le scuole pubbliche del ducato di Milano e nomina la deputazione per gli studi con il compito di progettare una riforma della scuola. Il sistema scolastico che ne deriva avrà il suo punto nodale nella collaborazione introdotta tra governo e congregazioni religiose, le quali forniranno la maggioranza del corpo docente per le scuole pubbliche. Il progetto di creazione di un corpo di insegnanti laico, aspetto subito preso in considerazione, non ha prospettiva di essere realizzato in breve termine.

La riforma delle scuole secondarie lombarde è affidata ad Alessandro Volta, la riforma delle scuole popolari al Regolamento generale per le scuole tedesche, normali, centrali e triviali degli Stati ereditari dell’Imperatrice e Regina preparato dall’abate Felbiger nel 1774. Questi elabora nel 1786 il regolamento di applicazione per le scuole italiane dell’Impero, operazione che si rivelerà comunque lenta e ridotta. Solo nel 1791 viene varata una riforma, di cui è anima padre Francesco Soave[1], che prevede la totale gratuità delle scuole elementari e ginnasiali create in sostituzione delle scuole gesuitiche, che accoglievano gratuitamente gli allievi.

Nella Lombardia austriaca la data di nascita della scuola pubblica popolare di Stato è il 3 novembre 1773, giorno di istituzione del Magistrato agli Studi, cui segue la nomina dell’abate Giovanni Bovara a Regio Visitatore delle scuole della Lombardia austriaca. Ciò avviene in un contesto che, lungi dall’essere privo di realtà scolastiche per l’istruzione popolare, attraverso la rete delle Chiese e del clero lombardi aveva creato una fitta rete di canonicati scolastici, scuole di dottrina cristiana e parrocchie, nelle quali l’insegnamento avveniva gratuitamente per i fanciulli del luogo grazie al lavoro dei parroci, che si protrarrà anche negli anni delle riforme e nell’età napoleonica[2].

E’ con la riforma scolastica promossa dall’imperatore Giuseppe II che si concretizza la spinta accentratrice e di innovazione che porta nel 1785 all’introduzione in Lombardia del nuovo metodo normale[3]. Un primo passo consiste nell’apertura a Brera di un corso di formazione per i maestri normali, il nuovo regolamento per le scuole infatti prevede che l’abilitazione all’insegnamento per i maestri ora richieda anche la frequenza dei corsi di metodo e il superamento di un rigoroso esame finale. Le scuole primarie e istruttive vengono istituite tra 1788 e 1789 e sono costituite da quattro classi: le prime due di leggere, scrivere e conti; la terza di grammatica italiana e latina, ortografia e calligrafia, che dà accesso agli studi grammaticali; la quarta classe, professionale, di aritmetica superiore, geometria, geografia e meccanica. Alla base, le scuole normali a due classi devono essere presenti in ogni comunità. La fondamentale novità del sistema scolastico introdotto, e ciò che lo rende attuabile, consiste appunto nel nuovo metodo normale, la cui introduzione comporta una netta rottura con il metodo antico, o individuale, finora adottato. Quest’ultimo prevedeva l’istruzione di un allievo per volta, con notevole dilatazione dei tempi di apprendimento e dell’organizzazione delle attività, il metodo normale invece adotta l’insegnamento simultaneo, ovvero tutti gli scolari svolgono contemporaneamente la stessa attività, sotto la direzione del maestro, secondo tabelle e programmi orari definiti dal regolamento. Il maestro controlla quotidianamente i progressi degli allievi attraverso note apposte sul registro di classe, le punizioni corporali sono abolite, e le aule vengo dotate di cattedra e banchi, lavagne e tabelle murali. Inoltre l’obbligo scolastico è fissato per legge dai 6 ai 12 anni[4]. Questo metodo didattico, diffuso in Austria dallo stesso Felbiger e in Italia da Soave e da altri autori ad essi legati, applicato ad alunni al primo livello di istruzione è così organizzato: le lettere iniziali, presentate dal maestro e scritte alla lavagna, sono associate alle parole che formano una frase di senso compiuto, letta e ripetuta più volte, da imparare a memoria. Le materie da trattare vengono schematizzate in una tabella, o tavola “deduttiva”, che procede gradualmente dal livello più generale agli aspetti più particolari dell’argomento; i libri di testo per tutte le discipline sono in forma dialogica, con domande e relative risposte. Per constatare l’avvenuto apprendimento il maestro varia volta per volta la formulazione delle domande; la composizione, che non è prevista in tutti i tipi di scuole, inizia con la ripetuta lettura e copiatura di lettere di diversi autori, in seguito all’allievo è richiesto di rispondervi, imitando la struttura e lo stile dei modelli. L’insegnamento dell’aritmetica avviene attraverso la presentazione di problemi concreti di economia rurale, la lettura e la scrittura attraverso il metodo alfabetico, ovvero la presentazione di ogni aspetto delle singole lettere. E’ prassi normale l’uso di premi e punizioni. L’insegnamento secondario invece ha il suo perno sul latino, lingua veicolare per le altre materie: matematica, fisica o filosofia naturale. La filosofia teoretica, così come la storia naturale o sociale e la geografia, occupano un posto secondario. Questo metodo, anche se criticato fin da subito, si diffonde rapidamente nelle altre regioni italiane grazie ai testi di Soave[5].


[1] Laureato in filosofia e morale a Pavia, viene chiamato a Parma per mettere a punto una riforma scolastica del ducato, qui è nominato professore di latino nei corsi inferiori e presso collegio dei nobili, poi docente di eloquenza nell’università. Si impegna a produrre la Grammatica ragionata della lingua italiana adattata all’uso e all’intelligenza comune pubblicata a Parma nel 1771 ad uso dei ginnasi, e un’antologia latina. Nel ‘72 è a Milano a insegnare filosofia nel ginnasio di Brera, qui raccoglie il contenuto delle sue lezioni nelle Istituzioni di logica, metafisica ed etica preceduto da un Compendio della storia della filosofia uno dei primi tentativi in Italia come testo per studenti. Le sue lezioni saranno adottate in moltissime scuole di tutti gli stati italiani  e riproposte per tutta la prima meta del secolo XIX. Per quanto riguarda il suo contributo per il rinnovamento della scuola elementare, fu grande e lasciò un’impronta durevole. Nel 1774 è nominato membro per la Commissione letteraria per la riforma dei libri ad uso delle scuole basse, che opera fino al ’77: frutto di quel lavoro è la Grammatica delle due lingue italiana e latina ad uso delle scuole del 1785 ulteriore sviluppo della grammatica scritta a Parma e che si basa su un nuovo approccio per la studio della lingua, quello comparatista, ovvero sulla convinzione che per i ragazzi sia fondamentale partire dalla conoscenza della grammatica italiana per poter apprendere quella latina. Altro testo di enorme fortuna sono le Novelle Morali ad uso de’ Fanciulli composte nel ‘76 e stampate nel 1782, proposte nelle elementari come libro di lettura. Nel 1786 è chiamato a far parte della Delegazione delle Scuole Normali per estendere alla Lombardia le norme vigenti in Austria per la formazione dei maestri, in seguito alla riforma del ‘74 della pubblica istruzione. In questa occasione viene organizzata l’adozione dell’esperienza austriaca nelle scuole lombarde e si riflette sul concetto di scuola ”normale”. Traduce il Regolamento generale scolastico per le scuole tedesche normali, principali e comuni del Felbiger, cui fa seguito il famoso Compendio del metodo delle scuole normali ad uso delle scuole della Lombardia austriaca pubblicato nel 1786. Quest’opera diffonde in Italia il metodo di insegnamento ideato da J.f. Hähn e adottato dall’abate Felbiger nei territori asburgici. In C. Pancera, Maestri, didattica e dirigenza nell’Italia dell’Ottocento, a cura di L. Bellatalla, Tecomproject, Ferrara, 2000, pp.44-49.

[2] Piseri M., La legislazione per l’istruzione primaria nella Lombardia tra Sette e Ottocento, in L’istruzione in Italia tra Sette e Ottocento (Lombardia, Veneto, Umbria), a cura di A. Bianchi, La Scuola , Brescia, 2007, p. 84.

[3] Sistema di insegnamento sperimentato in Germania nel Settecento entrato nella Lombardia austriaca attraverso gli scritti di padre Soave. L’ideologia di insegnamento proposta nel suo Compendio è legata al principio che ad ogni ceto spetti uno specifico livello di educazione, proporzionalmente al ruolo sociale, ma è anche sostenitore della necessità di un livello medio di istruzione da garantire per tutti. Il compendio inoltre contiene le istruzioni su cosa insegnare e come farlo, sulle tecniche per stimolare l’apprendimento tramite l’emulazione in una situazione di classe, cioè in un rapporto non individuale con l’allievo. Si propone inoltre un rovesciamento dei contenuti, scrivere diventa importante quanto leggere, pronunciare correttamente è fondamentale per scrivere correttamente, infine ci troviamo di fronte alla prima forma di imposizione dell’italiano come unica lingua. R. Corbellini, La scuola di base tra la fine del Settecento e l’età napoleonica: pubblico e privato, scuole normali e case di educazione femminili a Udine, in Maestri, didattica e dirigenza nell’Italia dell’Ottocento, a cura di L. Bellatalla, Tecomproject, Ferrara, 2000, pp. 25-26.

[4] Piseri M., Gli insegnamenti post-elementari tra antico regime e Restaurazione, in L’istruzione in Italia tra Sette e Ottocento (Lombardia, Veneto, Umbria), p. 91-94.

[5] Genovesi , Storia della scuola in Italia dal Settecento a oggi, pp.18-19.