4.3 Il ritorno dei francesi. Repubblica italiana e Regno d’Italia.
Lo spirito della rivoluzione porta con sé l’idea che l’istruzione sia sinonimo di impulso alla realizzazione dell’uguaglianza delle opportunità, a dispetto dell’origine sociale. La scuola primaria allora diventa il fulcro della politica per la formazione del buon cittadino repubblicano, e ciò si attua attraverso l’apertura di scuole elementari per maschi e femmine in ogni circondario. Il rapporto educazione-politica risulta squilibrato a favore della seconda, la quale prevarica il campo dell’istruzione facendone uno strumento per la propria conservazione, e opera all’interno delle classi fornendo i principali strumenti didattici: catechismi rivoluzionari, massimali di domande e risposte sui principi della rivoluzione, conditi di toni patriottici e politici difficilmente comprensibili al popolo. I maestri sono sottoposti al controllo politico da parte delle autorità municipali, le scuole considerate strumento di consenso per lo Stato.
Con l’età napoleonica e la proclamazione del Regno d’Italia si inaugura un periodo di stabilità che favorisce il processo di scolarizzazione, il forte incremento dell’offerta di insegnamento comunque non deve trarre in inganno: le autorità italiche cercano di contenere l’accesso alle scuole secondarie, a spese degli insegnamenti grammaticali. La creazione del Regno d’Italia porterà la politica scolastica a rendersi sempre più omogenea a quella francese, applicando alla scuola italiana il sistema autoritario e accentratore napoleonico.
Nel novembre 1811 Napoleone ristruttura nuovamente l’ordinamento didattico: il primo grado è detto normale, il secondo grado Limen, preparatorio al ginnasio, il grado successivo è il ginnasio, da istituire in comuni sopra i 10 mila abitanti, costituito da tre corsi biennali, infine il liceo biennale in ogni capoluogo di dipartimento, a carattere professionale, appannaggio delle classi agiate, che dà adito all’università[3].
Le disposizioni relative alla pubblica istruzione emanate in Francia nel settembre 1802 riguardano anche il Veneto a partire dal 1805, al momento del ritorno dei francesi, e stabiliscono che tutte le scuole di ogni ordine e grado debbano essere direttamente gestite o strettamente controllate dal Governo; è evidente che la pubblica istruzione sia considerata una funzione di Stato. Il riordino napoleonico della pubblica istruzione prevede che licei e università debbano essere a carico dello stato, mentre ginnasi e scuole elementari a carico dei comuni. Il Piano d’istruzione generale del 1808 invece ristruttura tutti i corsi di studio e crea un sistema organico di presenza dei vari istituti nelle regioni, decide l’abbandono dell’insegnamento retorico-umanistico, e l’abolizione di alcune cattedre, perseguendo una maggiore specializzazione degli indirizzi di studio. Dopo l’incoronazione di Napoleone Bonaparte a re d’Italia l’indirizzo sempre più accentratore della sua politica scolastica mette in evidenza l’intenzione di rimodellare la scuola italiana a immagine di quella francese, introducendo sempre maggiore uniformità, e una struttura sempre più gerarchizzata[4]. Infine, un decreto napoleonico del 25 aprile 1810 ordina lo scioglimento di tutte le fondazioni religiose, causando conseguenze gravi ai collegi dei Somaschi e dei Benedettini. La riforma dell’istruzione primaria del 1810 mette in discussione l’intero impianto esistente, contenendo l’afflusso all’istruzione superiore. Si crea un doppio canale di istruzione primaria: l’una che si ferma alle basi del saper leggere, scrivere e far di conto, diretto ai ceti più umili, l’altro qualitativamente migliore e approfondito, rivolto alle fasce medie.
Le innovazioni napoleoniche saranno immediatamente abbandonate dagli austriaci nel 1816-
[1] Piseri M., La legislazione per l’istruzione primaria, p. 100-101.
[2] Polenghi S., La rete delle scuole elementari nei dipartimenti napoleonici delle aree lombardo-venete, in L’istruzione in Italia tra Sette e Ottocento, p. 183.
[3] Genovesi , Storia della scuola in Italia, pp.30-31.
[4] De Vivo F., Riflessi della presenza dei Francesi nella scuola padovana, pp. 166-167.