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4.4.2 Ordinamento scolastico lombardo-veneto.

Il 1814 segna il ritorno al dominio austriaco e alla situazione pre-francese: culturalmente significa rinnovamento degli studi ginnasiali e liceali improntati su un curriculum classicistico e formalistico che verrà ripreso poi nell’Italia unitaria. Con il novembre 1818 le scuole elementari sono suddivise in maggiori, minori e tecniche, queste ultime mai istituite. Le scuole minori sono composte da due classi, affidate ai Comuni e presenti in ogni parrocchia sotto la direzione del parroco, le scuole sono obbligatorie dai 6 ai 12 anni per i maschi e per le femmine e insegnano lettura, scrittura, prima aritmetica, religione e storia sacra. Le scuole maggiori, nei capoluoghi e nei centri più popolati, comprendono tre classi più la classe reale per il passaggio alla tecnica. Aggiunge al programma di base elementi di architettura, meccanica, geometria, stereometria, disegno, geografia, storia naturale e fisica. L’insegnamento è sottoposto a un rigido controllo gerarchico da parte delle cariche di ispezione governative, ogni maestro necessita di un’abilitazione all’insegnamento elementare da conseguire frequentando la scuola metodica del capoluogo. Persiste la convinzione che il miglior corpo docente sia costituito da parroci ed ecclesiastici, e ciò ostacola ancora una volta la formazione di una classe magistrale laica idonea all’insegnamento[1].

Nel Lombardo-Veneto il codice ginnasiale austriaco viene applicato, nella forma che aveva nel 1806, a partire dal 1817, dopo varie relazioni sullo stato dell’istruzione nel periodo napoleonico. Il passaggio tra il sistema scolastico napoleonico e quello austriaco, benché attuato con rapidità, comporta qualche problema. I ginnasi esistenti, tutti precedentemente assegnati ai Comuni, sono suddivisi in comunali e imperiali, questi ultimi passano a carico dello Stato; il piano di studi viene modificato per tutti gli istituti e i libri di testo sono sostituiti, il lavoro di traduzione dei testi scolastici adottati nei ginnasi austriaci richiederà un periodo più lungo, nel frattempo i docenti continuano ad avvalersi degli strumenti già in loro possesso. Anche dopo la pubblicazione dei testi imposti dal codice ginnasiale i docenti tendono a usare il metodo della dettatura di note e appunti, piuttosto che seguire i manuali, nonostante il Codice vieti espressamente tale pratica[2].

L’impatto effettivo delle norme imposte da Vienna in materia di scuole secondarie, si evince dai rapporti e dalle relazioni di controllo sui ginnasi stese dal prefetto e inoltrate al governo. Gli anni ’20 dell’Ottocento vedono una situazione di stallo nell’apprendimento degli studenti in generale in tutte le materie, per quanto riguarda il latino e le discipline ad esso collegate, non c’è il miglioramento che si poteva riscontrare quando era previsto un numero decisamente minore di materie, inoltre per l’algebra e le nuove discipline introdotte gli allievi non hanno alcun prerequisito, e al contempo i docenti sono privi della preparazione necessaria. Un ulteriore problema riguarda il sovraffollamento delle classi, anche questo legato alla penuria di insegnanti[3]. Nonostante il Codice ponga l’accento sul carattere tradizionalmente elitario del ginnasio, indicando come condizione di accesso il ceto della famiglia e il merito del ragazzo, le trasformazioni sociali legate alla rivoluzione industriale e agricola in atto durante la Restaurazione spinge i ceti borghesi a richiedere un’istruzione secondaria. Data la mancanza di canali alternativi, quali potevano essere le Realschulen, i figli dei borghesi sono indirizzati verso i ginnasi, e di conseguenza ai licei e all’università. Al fine di ottenere una diminuzione del numero degli iscritti, oltre a invitare a una maggiore severità negli esami di accesso, si pensa di potenziare altre scuole cui destinare i giovani borghesi: aumentano le elementari maggiori e si aprono scuole tecniche. Tuttavia queste ultime, pur costituendo una valida alternativa al percorso di studi classico, e pur vedendo crescere anno dopo anno il loro numero di studenti, non diventeranno mai concorrenziali nei confronti dei ginnasi[4].

Nel complesso si può sostenere che la politica austriaca nel campo dell’istruzione pubblica adottata si rivela molto efficace per quanto riguarda le scuole elementari, dove la tradizione teresio-giuseppina mantiene una capillare rete gratuita di scuole dell’obbligo, garantisce la presenza di scuole tecniche di ottimo livello (le elementari maggiori) e favorisce la scolarizzazione femminile, imponendo una efficace formazione dei maestri.  La nuova legge scolastica emanata nel 1818 infine, distingue due ordini di scuole elementari: minori e maggiori; le prime presenti in ogni parrocchia e fornite di due classi, le seconde in ogni capoluogo di delegazione provinciale, di quattro classi, o nei Comuni che già ne possedessero, ridotte alle prime tre classi. L’insegnamento della grammatica è riservato alla terza classe delle scuole maggiori, dalla quale si può accedere alla quarta classe di carattere tecnico-professionale, o ad un ginnasio. Ma ormai la grammatica è italiana, al latino è riservato lo spazio della dettatura; l’insegnamento della grammatica latina si ha solo a partire dal ginnasio. La trasformazione avvenuta nel sistema scolastico non permette a questo punto di parlare delle scuole maggiori come di scuole post-elementari, anzi si può dire che dalle elementari maggiori nasce l’attuale concezione di scuola elementare come sede della formazione di base[5].

 A livello di scuole secondarie invece, il ritorno, nel 1819, alla tradizione teresio-giuseppina con il piano di studi del 1775 e la forte impronta confessionale data ai ginnasi, comporta l’arrestarsi del processo di riforma che avrebbe potuto portare a una originale commistione con le novità introdotte dal liceo napoleonico[6].


[1] Genovesi , Storia della scuola in Italia, pp.40-41.

[2] Polenghi S., La riforma del Gymnasium austriaco, pp. 44-47.

[3] Ibid., pp. 51-53.

[4] Ibid., pp. 54-55.

[5] Piseri M., Gli insegnamenti post-elementari, p. 172-175.

[6] Polenghi S., La riforma del Gymnasium austriaco, pp. 62-63.