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5.2 I seminari nel Settecento.

La facilità con cui si può accedere al sacerdozio, unitamente al fatto che tale scelta di vita costituisce per chi la compie e per la famiglia di origine una promozione sociale e un miglioramento delle condizioni economiche, determina uno dei problemi più gravosi che discuteranno le autorità ecclesiastiche nel Settecento: l’eccessivo numero di ordinazioni sacerdotali. Il dibattito sul ruolo del clero e sulla sua formazione avviene significativamente sia da parte della Chiesa che del mondo politico, a partire dall’ultimo ventennio del Settecento si avvia la collaborazione tra le due autorità, che porta ad esempio Vienna ad emanare leggi e norme che tendono a bloccare l’aumento del clero e ad affidarlo esclusivamente al servizio pastorale. Nel 1787 l’“Editto parrocchiale” impone che nessuno possa essere ordinato prete se non in cura d’anime, e ordina che la formazione culturale dei futuri sacerdoti possa avvenire solo ed esclusivamente presso il Seminario generale per la Lombardia austriaca di Pavia, proibendo di ordinare sacerdote chi non vi abbia compiuto gli studi.

Il sistema dei seminari nel Settecento costituisce una fitta rete di scuole frequentate da un gran numero di giovani, chierici per la maggior parte, destinati alla carriera ecclesiastica, ma anche laici destinati alle professioni e alla vita civile, che ricorrono agli studi seminariali di grammatica, umanità e retorica, e talvolta anche di filosofia.

La Lombardia settecentesca conta quindici seminari, strutturalmente integrati per un percorso completo di studi con le scuole degli Ordini religiosi, che mutuano spesso l’insegnamento teologico. L’età riformista teresio-giuseppina, che giunge a Milano negli anni Settanta e Ottanta, incide profondamente sul sistema dei seminari, e lo modifica radicalmente. Con l’istituzione a Pavia del Seminario Generale Teologico, e l’obbligo di frequentazione dello stesso da parte di tutti i candidati al sacerdozio, unitamente alla ricostituzione dei seminari diocesani a scuole che forniscono un corso di studi di tipo ginnasiale-liceale, si ottiene di diminuire drasticamente il numero dei chierici e di conseguenza il numero di ordinati sacerdoti[1].

Nel territorio della Repubblica di Venezia l’istituzione di Seminari diocesani è un fatto precoce e diffuso già da fine Cinquecento, ma solo con il primo Settecento, da realtà piccole e povere di risorse, si trasformano in istituti prestigiosi, capaci di attirare numerosi convittori e ancora più numerosi studenti “esterni”. Il seminario di Padova ad esempio, prima dell’episcopato di Gregorio Barbarigo è un’istituzione numericamente e culturalmente trascurabile, dopo la nuova fondazione da parte del Cardinale esso diventa uno dei seminari più prestigiosi d’Europa, sia per il numero di convittori che accoglie (a metà Settecento sono duecento), ma anche e soprattutto per la fama dei docenti, la biblioteca e la rinomata tipografia, e per il piano di studi, che accanto a grammatica, retorica, umanità e filosofia dà grande spazio alle scienze e alle lingue orientali, cui in seguito si aggiungeranno diritto naturale e civile. Nel 1797, alla fine della Repubblica, il Seminario è un’istituzione pareggiata all’Università di Padova, raffinato collegio laicale nel quale i chierici sono una minoranza (all’incirca un quarto).

Nella città di Venezia, nel Settecento la formazione del clero è affidata a strutture che operano già da un secolo e mezzo: le scuole dei sestieri, che insegnano gratuitamente ai chierici a leggere, scrivere e la grammatica latina; e dal 1581 ai due Seminari, ducale e patriarcale, affidati alla direzione e all’insegnamento dei Somaschi per quanto riguarda l’insegnamento di grammatica, umanità, retorica e teologia. Accanto a questi istituti esistono le scuole degli Ordini religiosi (Somaschi e Gesuiti) che offrono un percorso completo, anche teologico, a chi le frequenta. Tutte queste realtà accolgono chierici e studenti laici, per lo più patrizi, come convittori o come “esterni”. Con la soppressione della Compagnia di Gesù si ha un riassestamento: il Patriarca migliora le scuole di grammatica patriarcali nei sestieri e le rende obbligatorie, inoltre apre due scuole teologiche, intanto la Repubblica si sostituisce ai Gesuiti nella gestione delle loro scuole, continuando ad offrire il precedente programma di studi[2].


[1] Toscani X., I seminari, in L’istruzione in Italia tra Sette e Ottocento (Lombardia, Veneto, Umbria), a cura di A. Bianchi, La Scuola , Brescia, 2007, pp. 213-216.

[2] Ibid., pp. 217-220.