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5.3 Dopo la rivoluzione.

Tra 1796 e 1797 pressoché tutti i seminari lombardi e veneti sono occupati temporaneamente dalle truppe francesi come basi logistiche militari, e devono sospendere la loro attività per periodi più o meno lunghi. Con il trattato di Campoformio avviene una separazione di destini: i seminari della ex Lombardia austriaca e quelli ex veneti di Bergamo, Brescia, Crema e Rovigo entrano a far parte della Repubblica Cisalpina, mentre gli altri seminari veneto-friulani restano austriaci. Fino al 1806, politiche ecclesiastiche molto diverse condizionano l’esistenza dei seminari. Innanzitutto la Repubblica Cisalpina sopprime tutti quelli che hanno beni fuori dai confini dello stato, lasciando così in vita solo i seminari delle diocesi di Milano, Cremona e Rovigo, mentre nel Veneto al prima dominazione austriaca mantiene in essere tutti i seminari esistenti. Infine la firma del Concordato tra il Papa e Bonaparte nel 1802 decide la riapertura dei seminari che erano stati soppressi in una prima fase, e se nel caso veneto ciò non comporta cambiamenti di sorta nel momento del passaggio al Regno italico e alla dominazione napoleonica, nel caso della Cisalpina ha applicazione immediata ma diversa da diocesi a diocesi, e le riaperture si protraggono fin nei primi anni del Regno d’Italia.

Con il 1806, nel Regno d’Italia i seminari sono riconosciuti legalmente e riprendono o continuano a svolgere la loro attività di insegnamento, facendo crescere il fenomeno della concorrenza tra seminari e scuole statali o comunali, dal momento che tradizionalmente gli istituti seminariali accolgono anche studenti laici, non destinati al sacerdozio. Inoltre tra 1805 e 1810 i vescovi istituiscono nei loro seminari corsi ginnasiali e liceali, per educare i chierici in ambiente protetto. In questo periodo una forte crescita delle vocazioni e l’aumento del numero degli ospiti dei seminari permette alle diocesi di ampliare le loro sedi, e in seguito, con la Restaurazione e il Lombardo-Veneto, quando il fenomeno assume dimensioni veramente ampie, ciò genera problemi educativi e di organizzazione logistica. In termini quantitativi si osserva che il numero dei chierici tra 1810 e 1830 raddoppia o addirittura triplica, e nel caso del Veneto il fenomeno è amplificato dal fatto che i ginnasi vescovili, istituiti nei seminari, spesso sono gli unici ginnasi cittadini, ovvero l’unica scuola ginnasiale della città nella quale convergono tutti quanti intendano intraprendere tali studi. La Restaurazione è un’epoca di grande sviluppo per i seminari, sia dal punto di vista della ricettività e del rinnovamento edilizio che da quello della riforma dei programmi di studio e della costituzione di un nuovo corpo insegnante. Su questo influisce l’iniziativa statale degli Asburgo, che impone ai seminari di adeguare i programmi di studio dei ginnasi e licei vescovili a quelli statali, stabiliti dal Codice Ginnasiale, e per quanto riguarda le scuole di teologia, di adeguarsi al piano di studi ai libri di testo dell’Università di Vienna. Inoltre i docenti sono tenuti a sostenere esami di abilitazione o ad essere in possesso di una laurea in teologia, in questo caso per permettere alle diocesi di dotarsi di personale adeguato, nei primi anni venti si prevede di ospitare nei seminari di Padova e Milano un certo numero di chierici di altre diocesi, al fine di prepararli al futuro insegnamento nelle diocesi di origine. A partire dagli anni Trenta dunque, i seminari hanno un corpo docente più qualificato che in precedenza, per le discipline umanistiche come per quelle scientifiche, e il numero di frequentanti i seminari raggiunge il livello più alto non solo nelle scuole teologiche ma anche in quelle ginnasiali e liceali[1].


[1] Ibid., pp. 224-225.