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6.4 Periodo napoleonico e lombardo-veneto.

Nel periodo austroveneto, pur in una cornice culturale e geopolitica fortemente antiecclesiastica, l’istituto si presenta ancora come uno studio scientifico e sacro di grande fama, rispettato e stimato da regnanti e uomini di Chiesa. Come si evince dal resoconto inviato a Roma dal vescovo Dondi Dall’Orologio nel 1802, gli studenti convittori quest’anno sono 240, per la maggioranza secolari a causa della soppressione del collegio dei nobili, i piani di studio e la pedagogia gregoriani sono mantenuti, così come la disciplina e le regole di convivenza sono per tutti quelle ecclesiastiche[1]. Solo in età napoleonica avviene la cesura più netta: una serie di decreti governativi e circolari ministeriali danno vita ad uno stretto controllo e alla censura dell’opera dell’istituto e del personale, costretto tra l’altro al giuramento di fede politica; la separazione che si sta cercando di ottenere tra scuole ordinarie e teologiche fa sì che gli onori e i legami di collaborazione stretti nel Settecento con lo Studio patavino vengano meno, riducendo il Seminario a un istituto per soli chierici, e in generale facendo decadere la secolare unione tra religione e scienza. Nella stessa Università vengono soppressi la facoltà teologica e gli antichi collegi, causando la dispersione dei libri e dei codici delle biblioteche conventuali, e penalizzando le scuole umanistiche e letterarie del Seminario, ridotto a un istituto di studi superiori per teologi strettamente riservato ai futuri sacerdoti. Questo, assieme alla concentrazione degli studi di grammatica e umanità presso l’unico ginnasio liceo a Padova, interrompe bruscamente il progetto pedagogico gregoriano di crescita intellettuale e spirituale dei giovani dall’infanzia alla maturità, porta al declino della tradizione letteraria umanistica di cui il seminario era centro propulsore, e interrompe l’interscambio culturale tra università e seminario che si era consolidato nel Settecento con il pubblico riconoscimento dei titoli accademici in teologia e giurisprudenza[2].

Nel 1815 il cambiamento di regime e il riassetto amministrativo del territorio porta novità a livello di riforma scolastica e quindi nell’organizzazione degli studi e della formazione religiosa. L’iniziativa di casa Asburgo è volta alla statalizzazione dell’intero sistema scolastico e della formazione del clero, lo spartiacque rispetto alla precedente politica napoleonica è netto e irreversibile, l’impero organizza la cultura sacra mantenendo il controllo dei docenti e prodigandosi in erogazioni di denaro. In Austria la formazione di seminari centrali è il risultato della convergenza tra il progetto dei vescovi tedeschi di affidare la prima istruzione letteraria filosofica alle scuole delle congregazioni religiose, e la volontà riformistica dell’età teresio-giuseppina, che distingue nettamente il percorso di studi umanistico dei ginnasi statali, dalle scienze sacre della facoltà teologica universitaria. Il seminario centrale così, diventa un istituto slegato dalla diocesi, sottratto alla giurisdizione dei vescovi, gestito e controllato direttamente dalla amministrazione pubblica, che raccoglie gli iscritti alla facoltà teologica. Questa istituzione viene applicata a Padova provvisoriamente nel 1815 e in modo definitivo nel 1816, organizzata fino al 1866 secondo statuti e regolamenti vigenti a Vienna e a Praga[3], dettati durante le riforme settecentesche teresiane e giuseppine, e accanto a questa viene istituito il Seminario centrale e nel 1818 il ginnasio vescovile, a dimostrazione della volontà dello stato di farsi carico della formazione del clero curato, e di fare in modo che sia espressione della cultura e politica viennese, anche per quanto riguarda la scelta dei maestri, dei libri di testo, dei sussidi alla didattica, della metodologia di insegnamento.  Il rettore generale del seminario è responsabile di fronte al governo prima ancora di quanto lo sia di fronte al vescovo. Il progetto educativo che si dispiega attraverso queste riforme è quello di uno stato confessionale, che al fine di garantirsi una sicurezza e il benessere della popolazione prende su di sé il carico della formazione dottrinale dei pastori d’anime, rendendoli allo stesso tempo veri e propri funzionari statali, al servizio della pubblica amministrazione[4].

Il piano degli studi di teologia uniforme in tutte le scuole della monarchia asburgica, introdotto a Padova a oltre trent’anni dalla sua applicazione nell’impero, coordina in maniera organica le discipline storico-bibliche, analizzate secondo i criteri della critica storica, giuridico-istituzionali, sistematiche, applicative pastorali. Archeologia biblica, lingua greca e lingue orientali, ermeneutica ed esegesi testuale del testo biblico sono tra le materie fondamentali. A queste seguono da un lato le discipline storiche giuridico-istituzionali, ovvero storia della Chiesa e diritto canonico, e quelle sistematiche, dogmatica e morale, dall’altro le moderne scienze applicative: teologia pastorale, catechetica, pedagogia, didattica, economia rurale. Lo scopo dichiarato nell’elaborazione dei piani di studio è quello di formare pastori d’anime culturalmente non sprovveduti, capaci di osservare il testo biblico con rigore critico e metodo scientifico; la cura d’anime è una attività che necessita preparazione adeguata in merito alla conoscenza delle categorie del pensiero umano e dei principi dell’agire inteso cristianamente. Per questo il sacerdote, prima di diventare tale, ha l’obbligo di frequentare l’intero corso teologico di quattro anni, naturalmente dopo aver compiuto l’intero corso di studi ginnasiale e il corso filosofico della durata di tre anni, e per poter accedere al seminario deve esibire il diocesanum, un attestato di incardinazione in una diocesi o in un monastero. Le autorità politiche e militari si sovrappongono agli organi accademici anche per quanto riguarda la condotta all’interno del seminario, dando più rilievo alla condotta morale e politica degli studenti che allo studio. La riforma introdotta nel Lombardo Veneto da Francesco I, non è di natura solo formale, ma investe il metodo e la dottrina. La nuova teologia, anziché con la scolastica, si salda alla filosofia kantiana del raziocinio per la parte dogmatica, per l’etica ai classici del giansenismo, l’esegesi biblica si serve della critica storica, la didattica e la catechistica si legano alle scienze pedagogiche, e il diritto ecclesiastico alle teorie febroniane e regalistiche[5].

Una volta compiuta la riforma universitaria, Francesco I nel 1818 riconosce il ginnasio vescovile accanto a quello pubblico, nella sede del seminario centrale, a sostituzione delle antiche scuole gregoriane di grammatica, umanità, retorica e filosofia. All’interno di questa istituzione si riserva la nomina del direttore (che per statuto è il vescovo), del prefetto degli studi, degli ufficiali e dei professori. Il ginnasio vescovile viene inquadrato immediatamente all’interno delle strutture pubbliche, in quanto all’amministrazione, all’ispettorato locale e centrale, mantenendo agli organi centrali di Vienna la piena sovranità su programmi, testi e metodi didattici, criteri di ammissione per gli studenti e calendario scolastico. Il ginnasio vescovile continuerà a funzionare secondo le norme del codice austriaco fino al 1850-51[6].

 

Comunque la si osservi, la storia del seminario attraverso l’età veneziana, giacobina e austroveneta lascia intravedere una linea di sostanziale continuità, l’operato delle diverse autorità non interrompe un processo storico che conserva la complessa struttura dell’istituzione; come già detto il primo momento di distacco e novità si ha con il decreto napoleonico che trasforma il “collegio nazionale” in un istituto statale-ecclesiastico.

Per quanto riguarda il reclutamento degli alunni nel Seminario non sembra che i cambiamenti di regime, né i provvedimenti di riforma statale del seminario e della chiesa padovana di inizio Ottocento, abbiano in alcun modo ridimensionato la quantità degli ingressi, al contrario il periodo considerato va in direzione di un lieve aumento. Come accade all’Università, anche il seminario patavino con l’età napoleonica che lo declassa a istituto semiprivato e soprattutto con l’età asburgica che ne scardina definitivamente il sistema gregoriano, la provenienza degli allievi diventa sempre più indigena in un orizzonte diocesano che poco ha a che fare con la passata convergenza di diverse culture, idiomi, usi e costumi che costituivano un patrimonio di grande ricchezza per la comunità religiosa e per la scienza[7].


[1] Gambasin A., Un vescovo tra illuminismo e liberalismo, pp. 20-21.

[2] Ibid., pp. 21-22.

[3] Ibid., pp. 61-62.

[4] Agostini F., Il reclutamento degli alunni nel Seminario di Padova, pp. 258-259.

[5] Gambasin A., Un vescovo tra illuminismo e liberalismo, pp. 65-66.

[6] Ibid., p. 82.

[7] Agostini F., Il reclutamento degli alunni nel Seminario di Padova,  pp. 263-269.