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6.5 La tipografia del seminario.

Fondatore della tipografia del seminario è nel 1684 Gregorio Barbarigo. La riforma della Diocesi da lui operata prende l’avvio ed ha il suo cuore pulsante nel seminario, regolato da leggi sulla disciplina e l’educazione dei chierici che si basano sulle disposizioni del Concilio tridentino. All’interno dell’istituzione seminariale apre scuole nelle quali chiama ad insegnare uomini dotti provenienti da tutta Italia, e le correda di biblioteche, tipografia e osservatorio astronomico. Già dal Seicento il seminario di Padova è una fucina di ingegni, capace di promuovere una feconda attività culturale in varie direzioni e ambiti, sorretta da una valida base di educazione classica. Queste le condizioni favorevoli alla nascita della stamperia nel contesto della riforma degli studi seminariali operata a partire dal 1678. La tipografia del seminario, avviata nel 1684 per assicurare al seminario autonomia di produzione degli strumenti didattici, si rende necessaria per fornire le scuole dei testi che non sono in circolazione, o che sono troppo costosi perché provenienti da lontano. La stamperia produce opere quali una grammatica greca di rapida diffusione in tutta Italia, manuali di arabo, ebraico, persiano, a testimonianza degli ampi interessi scientifici del Barbarigo, tradottisi in altrettante materie di studio. La produzione di opere in lingue orientali comincia già nel 1685, la prima è il Cuneus Prophetarum di Pietro Bogdano, seguito da grammatiche e operette in arabo, turco e persiano, e dalla composizione del testo coranico, che vedrà la luce però solo nel 1698[1]. Inoltre la tipografia del Barbarigo è la prima a pubblicare tutte le opere di Galileo (nel 1774), compreso il Dialogo sui massimi sistemi che non verrà più ristampato, se non alla macchia, dopo la versione autorizzata del 1632.

La tipografia fin dalla fondazione opera a pieno ritmo, per ogni torchio lavorano due operai: il primo e il secondo torcoliere[2]. Ogni coppia di torcolieri tira ogni giorno almeno un migliaio fogli (recto e verso) in stampa normale o in stampa con inchiostro rosso e nero; nel 1693 la tiratura stabilita per ogni coppia di operai è rispettivamente di 1150 e 1000 fogli al giorno. Per i compositori invece, la quantità di forme composte dipende dal tipo di carattere usato, e varia da un massimo di 2 al giorno a un minimo di metà forma, lavorando con rosso e nero però la produzione diminuisce fino a due terzi dell’ordinario. Il salario è diversificato a seconda delle mansioni, e viene corrisposto mensilmente. I torcolieri percepiscono le retribuzioni più elevate, tra 600 e 744 lire l’anno, mentre i compositori ne guadagnano di meno, ma sempre in relazione al tipo di carattere usato. Nei momenti di maggiore concentrazione di lavoro, quando si rende necessario ricorrere anche a compositori esterni, il pagamento di questi ultimi si lega strettamente al numero di forme composte. Le altre figure di lavoratori presenti in tipografia sono il bagnacarta e il macinatore di cinaprio[3], inoltre è presente dal 1690 la figura di un unico garzone stipendiato regolarmente. Tutti gli operai ricevono vitto e alloggio all’interno del seminario, e pagano questo servizio con una detrazione dallo stipendio. Infine ci sono gli aiutanti: giovani ragazzi che dagli 8 ai 12 anni sono vincolati alla stamperia in cambio dei vestiti, del vitto e di un posto per dormire, i quali per contratto sono obbligati a fare un apprendistato come torcolieri, compositori o altro. In questo modo il cardinale vuole fare dell’officina una scuola di preparazione professionale che offre ai ragazzi l’opportunità di imparare un mestiere, in cambio di un lungo periodo di lavoro a titolo pressoché gratuito[4].

La tipografia nasce con l’intento di essere editrice in proprio e in grande stile, questo è testimoniato dal vasto corredo di caratteri nostrani e orientali, di fregi e miniature, e dalla presenza di una fonderia che opera per dodici anni. Il grosso del lavoro della tipografia consiste nella produzione di opere voluminose come il Cuneus Prophetarum, un dizionario greco, la Rettorica aristotelica, Tavole geografiche, opere storiche (Tito Livio), il Missale Romanum, il Corano, ma l’opera di gran lunga più importante tra quelle stampate nel Seicento è la Summa Theologica di San Tommaso d’Aquino. Nonostante le intenzioni del Barbarigo siano inizialmente rivolte alla produzione di libri di uso interno al seminario, già a novembre del primo anno di attività il cardinale decide di stampare anche per conto terzi; nel 1690 viene assunto un torcoliere addetto alla stampa esclusiva delle operette di pochi fogli , come le grammatiche di base o gli opuscoli di argomento religioso. Questi sono molto diffusi come strumento di propaganda della dottrina cattolica e vengono distribuiti per lo più gratuitamente a fedeli e sacerdoti della diocesi. Proprio la produzione di questi ultimi, grazie alle elevate tirature e alla facilità di smercio, è il genere di stampa più appetito soprattutto dalle piccole stamperie cittadine, per le quali rappresenta una discreta e sicura fonte di guadagno; la decisione del Barbarigo di produrseli autonomamente, genera un notevole malcontento tra i tipografi locali. Anche i tipografi veneti avranno motivo di avversare la stamperia del seminario, dal momento in cui il Barbarigo comincia a fare concorrenza alle tipografie veneziane producendo i “rossi e neri”, i libri liturgici come messali e breviari che portano le rubriche stampate in rosso. Il motivo è molto semplice: il prezzo di queste stampe è molto elevato, poiché la stampa in due colori necessita di  quattro passaggi sotto il torchio, e dunque la carta utilizzata deve essere di ottima qualità; proprio in questi anni le tipografie veneziane fanno di questo prodotto il loro punto di forza, sopravanzando per qualità e vendite quelle parigine e di Anversa, esportando in tutta Europa. Il Barbarigo comunque vende le sue opere soprattutto a Roma, inizialmente sfruttando le sue conoscenze, e mantenendo negli anni questo rapporto che si rivela essere molto redditizio, viste le almeno dodici edizioni di testi liturgici stampate tra 1690 e 1697[5].

Nonostante la buona qualità dell’attività tipografica, il bilancio economico seicentesco è sconfortante, segnato da numerosi debiti. Fino a quando non comincia la produzione dei “rossi e neri” infatti, il problema maggiore è lo scarso numero di libri venduti in rapporto alla produzione. E’ da notare che il Barbarigo non doterà mai il seminario di un punto vendita delle proprie edizioni, limitandosi a vendere ai librai cittadini che considerano i testi latini troppo costosi e non prendono in considerazione quelli in greco per mancanza di acquirenti. La produzione di libri scolastici invece continua anche negli anni seguenti, con seconde edizioni stampate in dodicesimo, comode e tascabili, e di prezzo contenuto. Alla sua morte il Barbarigo lascia il bilancio annuale della stamperia in pareggio tra entrate e uscite, bisogna considerare però che il cardinale in persona ha coperto il passivo di oltre 53.000 lire accumulato in 14 anni, e che il grosso di tale debito si era formato nei primi anni di attività per poi rallentare e fermarsi negli ultimi anni. Naturalmente una qualsiasi altra azienda, non avendo alle spalle la disponibilità finanziaria del Barbarigo, non sarebbe sopravvissuta. Un miglioramento delle condizioni economiche si ha a partire dal 1688, nel momento in cui si adottano alcuni cambiamenti, e ciò è testimoniato anche dal fatto che la realizzazione delle opere più impegnative tecnicamente ed economicamente, come il Corano e la Summa Theologica , inizia nel 1693, segno che la ripresa doveva essere già avvenuta[6].

Per sollevare le sorti della stamperia il cardinal Corner pensa all’apertura di una libreria a Venezia, gestita da Giovanni Manfrè. Questi prende in mano il magazzino della stamperia del Seminario e attraverso la rete di relazioni strette con librai di varie città in Italia e all’estero, riesce a vendere le edizioni del Seminario. Gli succede alla direzione dell’attività il figlio Marcantonio, intorno al 1740. I rapporti con il Seminario però si rompono attorno al 1785 e in seguito si forma una società con la ditta Foresti e Bettinelli per la gestione del negozio a Venezia, allo scopo di incrementare il capitale disponibile.


[1] Callegari M., La tipografia del seminario di Padova fondata dal Barbarigo, in Gregorio Barbarigo patrizio veneto vescovo e cardinale nella tarda Controriforma, pp. 231-232.

[2] Il primo, detto tirador, è colui che aziona la stanga collegata alla vite, dispone e lava i fogli, il secondo, detto battitore, inchiostra le forme preparate dal compositore.

[3] Il bagnacarta asciuga i fogli appena stampati e li prepara per la rilegatura, percepisce un salario di 396 lire l’anno, il macinatore di cinaprio, che aiuta anche nell’assemblaggio dei libri, guadagna 312 lire annue.

[4] Ibid., pp. 233-236.

[5] Ibid., pp. 238-240.

[6] Ibid., pp. 249-251.