Renzo Vidoni |
Gli ultimi giorni di aprile, dopo un'affrettata riunione del comando cosacco, l'Ataman Krasnov fece pervenire a tutti i distaccamenti di cosacchi sparsi per il Friuli e la Carnia, l'ordine di portarsi al più presto possibile a Tolmezzo. Ed è qui che la parola "Tolmezzo" si riconcilia con quelle supplicate da quell’ufficiale del gruppetto di cosacchi da film "Balalaika" nella "fornasate", al crocevia tra la "Tarcentina" e Buia. Stando all’interpretazione del libro di Nikolay Tolstoj, devono essere stati gli ufficiali di collegamento presso il comando generale tedesco di Udine che, ritardati dalle faccende d'ufficio o d'altro, non fecero a tempo a raggiungere Tolmezzo, come ordinato e previsto. Grande sorpresa della popolazione locale quando, alzandosi di buon mattino, trovò il paese deserto dei suoi ospiti. Erano partiti durante la notte, alla chetichella, cercando di fare meno rumore possibile coprendo gli zoccoli dei cavalli con ogni sorta di stracci per ammortizzarne lo scalpitio. Se ne andarono incolonnati, con le loro carrette cariche di mercanzie e masserizie, le "babuske" ed i loro bambini. Lasciarono i paesi letteralmente in un immondezzaio. Ogni sorta di sporcizia e oggetti abbandonati ovunque. Colonne e colonne affluirono verso Tolmezzo dalle remote contrade carniche e friulane. Congiungendosi s'ingrossavano sempre più, fino a creare dei grandi fiumi umani sulle vie delle vallate che convergevano sulla strada principale verso Tolmezzo: era l'exodus dalla "terra promessa". Il 2 maggio 1945, l'Ataman Krasnov, con tutto il suo seguito di corte e scortato dalla fedelissima guardia, lasciò Verzegnis diretto a Tolmezzo, sotto un'incessante pioggia, per poi infilare la vallata del But e raggiungere il passo di Monte Croce Carnico, il valico che porta in Austria. Una colonna senza fine di "zingari" avanzava sui carri frammisti a cosacchi a cavallo e a qualche veicolo motorizzato. La pioggia batteva incessantemente, sempre più gelida. Con l'avvicinarsi della notte, una violenta bufera di neve arrestò il passaggio del valico a tutta la colonna. Il passo era bloccato. Non era sufficiente questa disgrazia: durante il giorno, se qualche nuvola apriva la visuale, i caccia alleati mitragliavano spietatamente creando grande caos e perdite umane. I partigiani erano piazzati sui valichi, più per proteggere le popolazioni inermi che per combattere il nemico che fuggiva. Si verificò solo qualche sparatoria contro qualche cosacco che non poteva resistere alla tentazione di un'ultima razzia. Prima della partenza da Tolmezzo, ci furono diversi contatti tra i generali di campo Ataman Domanov e Krasnov e alcuni membri del Comitato Nazionale di Liberazione (C.L.N.), per una resa dell'armata cosacca ai partigiani, con relative garanzie. Sembra, però, che per il terrore di rappresaglia, particolarmente da parte dei partigiani "Garibaldini" (che portavano una stella rossa come emblema), oppure per la fiducia ed amicizia che Krasnov teneva con il generale inglese Alexander, i cosacchi decisero di rifugiarsi prima in Austria e poi, al momento opportuno, consegnarsi agli inglesi. I partigiani ebbero l'ordine di lasciare passare questa colonna. Era una decisione del C.L.N., più umanitaria che politica. Un tacito accordo, sapendo della decisione di ritiro in Austria. Solo in caso di attacco e in casi eccezionali i partigiani avrebbero potuto usare le armi. Il giorno seguente e dopo un febbrile lavoro, i cosacchi riuscirono ad aprirsi un passaggio attraverso la neve alta. La colonna ricominciò la sua lenta marcia. Ci vollero tre giorni e tre notti di immani sforzi, di ostinata volontà di sopravvivere e di non venir meno alla tradizione cosacca di solidarietà per continuare, unanimi, verso la speranza ed il cieco destino. Vento, pioggia frammista a gelida neve, non cessarono di far compagnia a questi poveri, vecchi, donne, bambini, ammalati, sani, disarmati ed armati. I conducenti dei carri trainati da quei poveri cavalli, con l'aiuto delle loro "babuske" e anche di qualche bambino, cercavano disperatamente di frenare i carri nella discesa. Compito quasi impossibile. Le condizioni estreme di ghiaccio e neve ridotta a poltiglia sulla strada rendevano estremamente difficile trattenere e controllare i carri. Anche se con un palo fra le ruote, scivolavano continuamente; i cavalli perdevano il controllo e più d'uno si vide trascinato nei profondi precipizi con grida inumane e sparire nella tomba bianca e soffice di neve. Ogni tornante, ogni tratto di strada fu testimone di questa tragedia. Finalmente, stanchi, infreddoliti e affamati, arrivarono alla vallata sottostante. S'accamparono alla meglio, rifocillandosi con quel poco che era rimasto. La popolazione austriaca, vedendo questa moltitudine di miserabili, fece di tutto per convincerli a proseguire verso nord, nella vallata della Drava, nei pressi di Lienz. Nel frattempo, a Villa Santina, una signora carnica, attratta da un pianto continuo, trovò, avvolto in alcuni stracci, un neonato, lasciato con cura in un posto sicuro, sotto una tettoia. La signora, amorevolmente lo prese, lo tenne con sè e successivamente, lo adottò. Confidando nei sentimenti di quella gente di montagna, qualche donna aveva deciso di lasciare il neonato alla sua cura. Il piccolo divenne grande, sano e forte. Ora è sposo e padre. Chi è e dov'è sua madre, solo Dio lo può sapere. Se l'esodo fu tragico per i cosacchi, non fu meno tragico per due paesi carnici. Il 2 maggio a Ovaro, fu ingaggiata una violenta battaglia contro un forte contingente cosacco, che cercava la via della ritirata. I partigiani e i "georgiani" al completo, di recente passati nelle fila della resistenza, sbarrarono loro la via, trasgredendo agli ordini del C.L.N. Le perdite dei cosacchi furono ingenti. La rappresaglia fu spietata. Prelevarono ed uccisero 32 persone di ogni età e sesso, tra cui il parroco don Pietro Cortiola. La retroguardia della colonna cosacca era composta di una elite di S.S., della quale facevano parte altoatesini, croati, istriani ed italiani. Il 2 maggio ad Avasinis, piccolo paesetto delle prealpi carniche, i partigiani fecero prigionieri dei cosacchi, che forse si fecero catturare volontariamente. Appena avuta la notizia, le S.S. di retroguardia immediatamente si scagliarono con ferocia inaudita contro la piccola comunità, uccidendo, massacrando e saccheggiando. Tra la piccola popolazione locale furono trovati 58 morti, anche in questo caso di ogni sesso ed età. Con queste tristi vicende si può chiudere questa tragica pagina della storia dell'occupazione in terra friulana, pagina che è da troppi sconosciuta. Questi eventi segnarono la fine della "nuova Cossackia" o del "kosakenland", come i tedeschi l'avevano progettata. Per il Friuli ed i friulani fu un respiro di sollievo. Un momento di euforia. Non restava che celebrare. La liberazione era compiuta. Per i cosacchi? Il loro calvario non era ancora finito.
|