Renzo Vidoni |
ALCUNI SQUARCI DI DIARI DEL TEMPO DEI COSACCHI
Dal diario del Parroco di Chiaulis. "13-10-44: i cosacchi occupano Chiaulins da padroni. Non si conosce la lingua, nè il carattere degli occupanti. Non ammette titubanze. Sono armatissimi e spiranti di fiamme contro i partigiani." "Il parroco di Illeggio, don Lenna Osvaldo, salta dalla finestra della canonica e si ripara, per miracolo, presso l'ospedale civile di Tolmezzo." "Il vicario di Imponzo, don Giuseppe Treppo, viene ucciso mentre tenta di salvare alcune donne dalla violenza di quelli, ansiosi soltanto di soddisfazioni carnali." "Nimis, agosto 1944: nelle case dove i cosacchi si intrufolano comandano da padroni. Non mancano attentati di violenza carnale alle giovani ed alle spose. Sono amanti del vino, che tracannano a piena gola e quando sono ubriachi diventano brutali e violenti. Lasciano i cavalli in una stanza, finché, a causa dello stallatico che si accumula, le bestie toccano il soffitto e siccome hanno le orecchie molto sensibili, toccando il soffitto scalpitano e si dimenano, allora i cosacchi li tirano fuori dalla stalla che lasciano intatta e li collocano in un'altra stanza della casa, senza badare se la popolazione locale meriti o meno questa umiliazione. I cavalli a dormire nella sala dell'oratorio e loro accampati all'aria aperta." "A completare la sventura, vengono mandati a Faedis, Attimis e Nimis i cosacchi. Gente disonesta, viziosa e cattiva. Finiscono di portar via quel poco che era rimasto nascosto nelle case non bruciate, o sotto terra. Violentano donne, si ubriacano continuamente." Dal libro storico di Canebola, frazione di Faedis. "Case lungo le strade abbandonate e occupate dai cosacchi; a Trelli violentano diverse donne; a Chedarcis un cosacco si fa consegnare dal parroco l'orologio con catena; le vie del paese danno l'idea di una stalla; chiesa aperta e davanti ad essa tanti cavalli... " Dal diario della frazione di Incarojo. "Venerdì santo. Sono circa 200 cosacchi che assalgono le camere, scacciando i legittimi dormienti, ficcandosi nei letti caldi togliendosi solo il berretto. La gente è esterefatta. Sono ossessionati alla ricerca di vino e liquori. Qualcuno compra in farmacia alcool denaturato." Questo a Varmo. "10 dicembre 1944. Ho trovato il paese letteralmente invaso dai cosacchi. Girano per il paese tutti a cavallo. Sembra che non sappiano o che si vergognino di amminare. La convivenza avviene secondo una pacifica e tranquilla intesa. Anzi, raggiunse il culmine in seguito alla sparizione di un cosacco, che si sapeva essere passato tra le file dei partigiani slavi. Benché i tedeschi avessero ordinato la distruzione del paese se entro 48 ore il disertore non venisse restituito, il Comandante, dopo momenti di drammatica tensione, si prese la responsabilità di togliere l'ultimatum dato dai tedeschi: fu un'esplosione di gaudio generale. Bisognava ringraziare questi bravi cosacchi, offrendo subito loro un bel brindisi con il vermut. E' qui che uno smacco alla loro etichetta sociale, ignota al parroco, minacciò invece un pandemonio. Mentre tutti i presenti tracannavano d'un fiato, il prete bevve solo a metà. Tutti diventarono muti e seri con atteggiamento quasi truce. Si misero a guardare ora me, ora il bicchiere vuoto solo a metà. Mi impressionai e mi rizzarono i capelli. Non sapevo che per i cosacchi il non vuotare il bicchiere di un fiato per il brindisi, suonava come un'offesa, disprezzo e sfida, ma capii al volo... ". Il parroco ricorse alla scusa di un rigoroso divieto medico ad ingoiare bevande alcoliche, ma invitò ad un brindisi di riparazione, a costo del rischio personale per quella bevuta tra... compagni. Con i cosacchi a Lasiz erano "rose e fiori". Tutto ciò finì bruscamente il 23 febbraio 1945, quando fu segnalato l'arrivo in paese dei turchi, ossia dei caucasici mussulmani. I peggiori sciacalli di cui disponevano i tedeschi. Si scelsero le migliori camere da letto e tutto ciò che volevano e guai se il padrone di casa metteva il piede dentro le stanze da loro occupate. Cucinavano e mangiavano di continuo. In due o tre di loro "impignattavano" tre o quattro galline, senza neanche assaggiare il brodo, e si "sbafavano" più di una gallina ciascuno. In cucina non doveva mancare l'aglio (luk), che pestavano fino e ci versavano sopra aceto e olio e ci intingevano tutto ciò che mangiavano. Ti ordinavano di preparare tanti litri di latte, la farina e il sale per fare la polenta e se non c'era, che si provvedesse ugualmente. Per fortuna non toccavano nè lardo, nè salumi, né altra roba porcina e guai ad offrirgliene. II vino non lo guardavano neanche, ma pretendevano ad ogni costo la grappa. Se non ce n'era, facevano visitare tutti i ripostigli sotto la loro sorveglianza. Se non trovavano l'alcool diventavano furenti. Dopo, stanchi di mangiare, qualche credente stendeva il soprabito sul pavimento e, sedendosi sopra con le gambe incrociate e le braccia alzate, recitavano gli "oremus" e le loro preghiere, con una ginnastica che, in tempi normali, farebbe ridere più di qualsiasi comica o farsa. Battono la testa sul pavimento, fanno boccacce ed inchini. Già prima di cominciare, avevano chiesto da che parte si alzava il sole, perché devono rivolgersi da quella parte. E non basta, c'era la cerimonia dell'abluzione. Ordinavano di preparare, nella loro camera, un gran mastello di acqua tiepida per il lavaggio. Si spogliavano e andavano dentro fin che potevano e si bagnavano le parti emergenti. Purificandosi dai peccati della giornata quindi, potevano andare tranquilli a dormire nei letti... degli altri. Tutti i maomettani della parte del Caucaso sono di nazionalità turca. In realtà erano un coacervo di popolazioni distinte. Circassi, ceceni, ingùsi, lazghini, azari, kabardini, abchazi, azerbaigiani, dagestani, turkemani. C'erano, così, 17 varietà di gruppi etnici, sparsi nel Friuli orientale e nella Carnia. Ed alcuni di loro erano dissoluti e di indole feroce. * * * Dopo aver invaso e incendiato i paesini di Mezzana e Cigolis, nella val Natisone, i turchi hanno razziato una massa di bestiame e accumulato masserizie di ogni genere. Quintali di carne squartata a sciabolate, erano appesi ai rami degli alberi, sui poggioli, sulle finestre e quindi cucinati in pentoloni. Macellavano tutto con le loro mascelle instancabili e ingurgitavano, senza tregua, un'incredibile quantità di pollame. Tracannavano quanto vino e grappa potevano scovare. Tripudi pantagruelici e sagre infernali, degni del pennello di Brughel e di Bosh" Da don Cuffolo, parroco di Lisiz. Ancora don Cuffolo, che non molla la ghiotta occasione di sbirciare per benino le abitudini religiose di questi devoti di Allah scrive: "In una famiglia di Lasiz si installò nientemeno che il "Muezzin" militare. Si distingue dai fedeli per il portamento umile e serio. Non è rapace come gli altri, ma fa cuocere e mangia sempre. Le sue mangiate sono alternate da preghiere. Cioè fin quando si cucina prega e quando è cotto, va a mangiare. Prega con le gambe incrociate, sbattendo la testa sul pavimento. I familiari devono fare sforzi enormi per non ridere. Uno di loro è venuto a domandarmi consiglio, perchè la padrona di casa non riusciva ad avere un intervallo per avvicinarsi ai fornelli e fare la cena alla famiglia. Ho consigliato di mettere in una casseruola coperta, perchè non se ne accorgesse, un pò di lardo a friggere. Quando il reverendo e i suoi chierici hanno sentito l'odore, sono fuggiti inorriditi e non sono tornati finché i familiari non ebbero finito di cenare, cioè fino a cessato pericolo. Il reverendo ha fatto subito il suo atto di riparazione per il sacrilegio commesso: è tornato a fare il suo bagno purificatore e poi ha ripetuto tutte le preghiere di prima, che erano state profanate dal... lardo" * * * "In occasione di un triplice funerale a Tramonti di sopra. La liturgia ortodossa è ricca di sfarzi, di paramenti, di cerimoniali e di canti corali. Il pope ortodosso, dalla lunga barba, doveva fare a questo ornamento una trasformazione prevista dal cerimoniale. La sua barba, lavata a lungo e resa morbida e fluente, veniva divisa in tante piccole e graziose trecce, elegantemente elaborate che scendevano sul petto sopra i ricchi ornamenti. Con quelle trecce il pope assumeva un aspetto magico, incantevole agli sguardi. La chiesa era affollata di gente accorsa per il funerale, colpita ed ammirata per il rito straordinario e per i maestosi canti corali.". Da don Luvisetto, parroco di Tremonti di Sopra. |