CON COERENZA - Capitolo 20
Di nuovo in divisa Così, verso sera, tornai dai miei e dormii nel mio letto. L’indomani andai al Comando tedesco nella frazione di Collosomano. Informai il Comandante del rischio che la giornata prima avevo corso, gli dissi che volevo andarmene da Buja per non far correre pericoli alla mia famiglia e gli chiesi che mi fosse dato il permesso di circolare armato. Il Comandante controllò i documenti, ma aggiunse che, nonostante tutto fosse in regola, loro ormai non si fidavano più degli italiani, pertanto non mi avrebbe rilasciato alcun permesso. Rientrai a casa deluso, con una pistola in pugno in caso di necessità, mi sarei sentito certamente molto più tranquillo! Verso mezzogiorno presi la bicicletta, raggiunsi Rivoli di Osoppo, proseguii fino a San Daniele, salii sul tram che in breve tempo mi portò a Udine da dove proseguii verso Tolmino qui, volente o nolente, ripresi le armi. Venti giorni dopo, un alpino mi disse di aver letto sul giornale che a Buja erano stati incendiati i casali Papinutto; controllai e constatai l’esattezza dell’informazione. I partigiani, infatti, giorni prima, avevano dato fuoco alla stalla ed al fienile dove avevo nascoste, sotto il fieno, due biciclette nuove di zecca. Il nostro battaglione che inizialmente si chiamava Reggimento Volontari Friulani Tagliamento venne in seguito ribattezzato Reggimento Alpini Tagliamento in quanto formato prevalentemente da alpini. Assieme al Battaglione M (Mussolini) aveva il compito di presidiare un confine lunghissimo che partiva da Cave Del Predil, passava per Lusevera, Santa Lucia di Tolmino, Gorizia, Montespino per arrivare fino a Trieste. In un anno e mezzo di combattimenti il battaglione contò più di 500 morti e oltre 1000 feriti. Enore Viezzi ed io, con una quindicina di uomini a disposizione ed un mortaio, avevamo il compito di effettuare dei posti di blocco stradali. La sera dovevamo fare attenzione a “Pippo”, un aereo che sorvolava la zona in cerca di bersagli indicati come obiettivo dai partigiani del luogo. Appena si avvicinava l’imbrunire sentivamo in distanza il rumore del velivolo e, immediatamente, spegnevamo tutte le luci. Una sera, però, commettemmo l’errore di riaccenderle troppo presto, infatti l’aereo, dopo essere scomparso, tornò indietro e sganciò due bombe. Fu un errore che, solo per caso, non pagammo a caro prezzo. Quando i tedeschi effettuarono il contrattacco nelle Ardenne, ricordo che molti partigiani abbandonarono i ranghi e diversi, presi mentre cercavano di ritornare a casa, finirono nelle carceri di Tolmino. Può sembrare strano, ma abbiamo creduto nella vittoria fin quasi alla fine del conflitto. Ricordo la visita fatta da un sacerdote al nostro reparto. Era appena rientrato dalla Germania, ci raccontò che i tedeschi stavano per mettere in campo delle armi che in poche settimane avrebbero ribaltato le sorti della guerra, per questo eravamo fiduciosi. Trasferiti al Collegio di San Pietro al Natisone, non riuscivamo a dormire. I partigiani, la notte, sparavano continuamente delle raffiche, allo scopo di farci saltare i nervi e noi dovevamo uscire di pattuglia per controllare la zona. Uno dei pochissimi scontri con i partigiani avvenne quando fummo urgentemente trasportati con un camion a Pulfero, dove delle squadre di cosacchi si erano scontrate con un gruppo di fazzoletti verdi. Come al solito, quando giungemmo sul posto tutto era ormai concluso, riprendemmo quindi la via del ritorno. Giunti in prossimità di San Pietro al Natisone, però, fummo presi di mira da una mitragliatrice posizionata su di un cucuzzolo. La sorpresa provocò la caduta dal camion di molti, che, seduti sul bordo del cassone privo di sponde, stavano con le gambe penzoloni. Presi il mortaio, in pochissimo tempo riuscii a sparare un paio di granate in direzione del cucuzzolo, così il mitragliamento cessò immediatamente. Il nostro Colonnello, intanto, aveva iniziato delle trattative segrete con i capi partigiani della Osoppo che operava nella zona. |