AL FRONTE NON CI TORNO - Capitolo 2
La campagna di Russia Rientrai in caserma proprio mentre si stavano facendo i preparativi per partire verso il fronte russo. Prima ci mandarono a Udine presso l’officina del IX Genio, nella caserma Spaccamela, ad affilare le baionette ......... fu come un cattivo presagio, la campagna di Russia non sarebbe stata per noi una passeggiata. Il 6 agosto ‘42 partii per il fronte ancora una volta con un convoglio di materiali, con me non c'era nessun compaesano ed il viaggio durò circa quindici giorni, sempre a causa delle precedenze. Ricordo che su un vagone era piazzata una mitragliatrice pesante, l'addetto al pezzo era un alpino proveniente dal Piemonte. Un giorno il maresciallo Ermellini mi chiese: «Mattia, sei capace di sparare con questo aggeggio?» «Eeeh, certo » risposi «Allora prova a farlo!» Caricai velocemente l'arma, la puntai verso un albero e sparai una raffica, facendo così un “errore” madornale, infatti il Maresciallo, dopo aver constatato la mia abilità, disse: «Bravo Mattia, d'ora innanzi darai il cambio al servente all’arma, durante il tragitto». Io mi morsi le labbra mentre fra me e me pensavo: "Ma vado proprio a cercarmele!” Una sera al confine fra Polonia e Russia, aprii il fuoco contro un vicino boschetto da dove giungeva il fascio di luce di un faro che ci stava seguendo. Scaricai su quella luce tutto il caricatore, subito dopo il maresciallo Ermellini, giunto sul vagone, venne a chiedermi che cosa fosse successo. Io gli spiegai il fatto e lui mi disse: «Speriamo che dietro a quel faro non ci sia stato qualche tedesco !!!..........» Ad Isjum terminava la ferrovia a binari stretti, così scendemmo dal treno e ci accampammo vicino alle sponde del Donetz, qui incontrai alcuni miei paesani che erano giunti là già da qualche giorno. Ricordo che una sera accendemmo dei fuochi per cuocere delle zucche nei gavettoni, poichè il rancio, poco abbondante, ci veniva dato una sola volta al giorno. Ci mettemmo poi a dormire tranquilli, dopo aver tracannato qualche bicchierino di cognac di troppo. Pietro Ursella montava di sentinella: ad un certo punto si levò un venticello che sollevò dalle braci molte faville, nel buio sembravano dei proiettili traccianti. Pietro diede “l'altolà”, ma non ricevendo, com’era ovvio, alcuna risposta, aprì il fuoco svegliando tutto il Reggimento che si dispose subito in posizione di difesa. Un giorno il capitano veterinario Gonanno mi disse, mostrandomi una rete da pesca: «Andiamo a pesca nel Donetz?» La rete spesso si impigliava negli sterpi, dovevo così scendere nell’acqua freddissima per andare a liberarla. Quando era ormai a brandelli, ci avviammo a mani vuote verso l'accampamento. Camminando notai, mimetizzati nel terreno, due archetti, che rivelavano la presenza di mine anti uomo. Se li avessimo toccati la mina sarebbe esplosa, fermai il Tenente e, con il dito, gli indicai gli archetti: «Li ha visti? », gli dissi «Sì, che cosa sono? » mi chiese. Sudai freddo pensando al pericolo che avevamo corso. Avvertimmo i guastatori e le mine furono subito fatte brillare. Il Tenente, guardando le profonde buche nel terreno, commentò: «D'ora innanzi non mi dimenticherò a cosa servono gli archetti!» A Jsjum ci fermammo alcuni giorni e, quando partimmo, alcuni pollai del posto avevano ridotto il numero dei pennuti ...... Incominciammo la marcia di avvicinamento al fronte percorrendo circa quaranta chilometri al giorno sotto un sole torrido. Una mattina, però, la marcia iniziò sotto una pioggia battente che non cessò fino a sera, i camion che ci seguivano con il materiale dovettero fermarsi e raggiungerci l'indomani. La pista, sotto la pioggia che si mischiava alla terra, era diventata impraticabile, viscida come il sapone ed il terreno, pianeggiante e compatto, non riusciva ad assorbire tutta quell’acqua.(lettera Celso) La sera dell’11 settembre ci attendammo nelle vicinanze di un paese formato da poche isbe (Iekaterinowka); durante la notte sopraggiunse al galoppo un uomo in sella ad un cavallo che non si fermò all'”altolà” dato dalle nostre sentinelle. Andò a rifugiarsi, pensando di non essere visto, in un’isba posta in fondo al paesino. Il tenente Miege ed il sergente maggiore Prati della nostra Compagnia si avviarono prontamente verso la casa e, arrivati all’ingresso, aprirono la porta. Non ebbero il tempo di fare un passo oltre la soglia, che una scarica di mitra uccise all'istante il Tenente e spezzò un braccio al Sergente. Arrivarono allora i tedeschi che avevano un presidio in un paese vicino; uccisero gli abitanti e poi bruciarono le case, il fumo che si alzava dalle travi annerite dal fuoco ci accompagnò per un lungo tratto quando riprendemmo la marcia. Le guarnigioni tedesche che presidiavano i territori occupati dalle loro armate in avanzata, consegnavano del bestiame alle famiglie, questo, in parte, sarebbe poi rimasto di loro proprietà, in parte sarebbe stato requisito. I russi in ritirata avevano fatto terra bruciata, non avevano lasciato neppure gli attrezzi da lavoro ai contadini. Quell'anno la trebbiatura venne fatta a colpi di bastone. Dopo la nostra sosta in un villaggio, i paesani notarono la mancanza di alcuni polli. I contadini, che si trovavano fra l’incudine ed il martello, avvertirono subito del furto i “proprietari” tedeschi. In breve tempo alcuni di loro ci raggiunsero su delle veloci Saidecar. Fermata la colonna, ci misero in fila e ci perquisirono uno ad uno; non trovando, però, il corpo del reato ci lasciarono proseguire. Venimmo a sapere subito dopo, fra le risate generali, che il polli erano stati avvolti a tempo di record nel telo tenda. I tedeschi non usavano mezze misure. Quando raggiungemmo Kijev notammo, all’esterno di un campo di prigionia, numerosi impiccati fra cui molte donne, questo fatto fece su di noi una bruttissima impressione.
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