RITORNA AL TESTO | CAPITOLO 13 |
LA LIBERAZIONE DI UDINE
Ci trasferimmo poi alla periferia di Udine, in attesa di ricevere l’ordine di occupare la città. La notte ci eravamo accampati presso il mulino di Chiavris. Ricordo ancora oggi lo sconcerto che provai quando scoppiò, vicinissima, una granata: mi trovai improvvisamente solo, tutti erano fuggiti, abbandonando armi e munizioni. Durante la notte sentimmo un continuo movimento di truppe, ma l’ordine, “Ponti d’oro al nemico che fugge” era di attendere l’indomani. Al mattino presto ci fu dato l’ordine di avanzare. Come al solito precedevo gli altri (non tenevo famiglia !), stavo incollato ai muri delle case e facevo segno ai compagni di raggiungermi dopo essere avanzato per qualche decina di metri. Spesso come risposta ottenevo un gesto, fatto sempre con la mano, che voleva dire: “Sei matto?? ….. vai piano! Prudenza!”; molti temevano che ci fossero cecchini alle finestre. A pensarci oggi mi pare incredibile: non avevo ancora 17anni! Il mio porta munizioni ne aveva 35, abitava a S. Eliseo di Majano, aveva fatto la guerra dell'Albania… eppure stava ai miei ordini. Prima che arrivassimo in Piazzale Osoppo ci venne incontro “Miro” in bicicletta, ci disse che in prossimità del Piazzale c’era un bunker tenuto da tedeschi armati di una mitragliatrice pesante da venti millimetri, ci fece un piccolo schizzo per spiegarci la loro posizione. I tedeschi avevano lasciato tre soli uomini a presidiare Udine; dopo la prima scaramuccia che provocò la morte di uno di loro, si arresero. Il tedesco caduto, dopo essere stato caricato su di una carriola, fu portato in giro lungo la via perché tutti potessero vederlo. Quel giorno ci furono diversi allarmi con richieste di intervento. Molti credevano che ci fossero stabili ancora occupati dai nazifascisti, ma tutti questi timori si dimostrarono infondati: Udine era stata evacuata durante la notte. Che io sappia non c’è stato bisogno di alcun atto di eroismo per la sua liberazione. Tornai a Buja e trovai il mio amico Sandrin “Sura” in piazza ad Avilla, ci salutammo e ci raccontammo gli ultimi avvenimenti. Visto che pioveva gli diedi il mio giubbino di cuoio e lo salutai dicendogli che andavo a dormire, da troppi giorni infatti non vedevo il letto. Due ore dopo Sandrin moriva con altri due partigiani, crivellato da un numero incredibile di colpi di mitra al petto, in prossimità di Artegna sulla Statale Pontebbana. Il suo corpo portava i segni di atti efferati che mi fanno tuttora rabbrividire e che preferisco non raccontare. |