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PARTIGIANO

Ormai avevo capito che per me tirava una brutta aria, quel pomeriggio stesso mi feci dare da Amilcare Gallina le informazioni necessarie per darmi alla macchia. Questi mi consegnò una lettera di presentazione; immediatamente raggiunsi Rivoli di Osoppo da dove, prima con il treno e poi con la corriera, raggiunsi Anduins e quindi a piedi mi recai a Pielungo nel vicino Castello “Ceconi” occupato dai partigiani.

Di gruppi partigiani, allora, si conosceva per sentito dire solo il “IX Corpus” iugoslavo; non esistevano formazioni locali, era solo comparso, tempo addietro, un manifesto murale con su scritto “Chi li ha visti? ” e chiedeva informazioni riguardo due bujesi.

Prima di partire avevo salutato la nonna spiegandole dove stavo andando e lei, in piedi davanti alla porta, aveva evitato pianti e rimbrotti, rivelandomi che una notte aveva sognato mio padre (l’unico figlio maschio) che le aveva ripetuto per ben tre volte: “Mame tasc!” (Mamma taci).

Iniziò così, quasi per caso, la mia avventura nei gruppi partigiani.

Del gruppo, nato da poco, ricordo che facevano parte,  Renato Del Din “Anselmo”,  Candido Grassi “Verdi”, Don Ascanio ”Aurelio” e un inglese, il capitano Pat, che mi diede il nome di battaglia: “Arlem”. Cominciai facendo la guardia al cancello che distava una cinquantina di metri dall’edificio. Pochi giorno dopo il mio arrivo, fu portato lì un prigioniero: era un ufficiale di nazionalità austriaca; venne rinchiuso in una cella posta nei sotterranei, assieme ad alcune spie italiane. Spesso gli facevo la guardia durante l’ora d’aria; aveva circa sessant’anni e portava sempre con sè un monocolo che usava per leggere.

Uno dei primi ordini che ci imposero fu quello di sparare a tedeschi o cosacchi solo ed esclusivamente per legittima difesa, in modo da evitare possibili rappresaglie e di compiere azioni di sabotaggio sempre fuori dai centri abitati.

Ogni giorno arrivavano dei giovani ad ingrossare le file partigiane, poco dopo il mio arrivo ne eravamo una trentina e diversi erano bujesi: Fino Gallina, Beppino Colautti, Pierino Piemonte, Walter Nicoloso “Ken”, Silvano Taboga.

Ricordo che la sera del 18 luglio ci fu un consistente “lancio” di armi e munizioni da parte degli alleati; le casse furono raccolte e caricate su dei camion, che poi vennero parcheggiati nel cortile del castello in attesa dell’alba. Poche ore dopo, però, verso le quattro del mattino, un addetto alla cucina, che faceva il turno di guardia, diede l’allarme: stavano arrivando i tedeschi.

I due camion furono immediatamente fatti partire e si decise di abbandonare immediatamente il castello.

Quello che  successe in seguito è storia scritta su decine di libri. Accadde che "Aurelio" (Don Ascanio) ricordò di aver dimenticato in un cassetto tutte le carte d'identità che i partigiani avevano consegnato all'atto dell'arruolamento. Tornò sui suoi passi e, dopo aver recuperato i documenti, si recò nella cantina-prigione dove erano rinchiusi diversi prigionieri, disse loro che avrebbe potuto ammazzarli, ma poi li liberò. Questo gesto fu molto importante in quanto l'ufficiale austriaco che tenevamo prigioniero salvò Pielungo dall’incendio che i tedeschi si apprestavano a compiere per rappresaglia.

Quello che invece non è mai stato scritto è che, prima di abbandonare il castello Ceconi, …………. mi ordinò di uccidere i prigionieri. Risposi che non me la sentivo di ammazzare nessuno a sangue freddo; evidentemente lui stesso aveva dei dubbi, dal momento che non fece obiezioni al mio rifiuto.

Per fuggire, salimmo sul monte Rossa, attendemmo il buio della sera per ridiscendere silenziosamente a valle. Durante il tragitto notturno poco mancò che ci scontrassimo con una formazione tedesca che stava risalendo la vallata, fortunatamente i loro scarponi erano molto più rumorosi delle nostre babbucce fatte di stoffa.

Riposammo per qualche ora negli stavoli vicino ad Avasinis, quindi, sempre alla luce della luna, raggiungemmo Trasaghis per poi attraversare il Tagliamento alle prime ore del mattino.

Per una settimana ci disperdemmo: ognuno tornò a casa sua, ai suoi nascondigli abituali.