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CON UNA PISTOLA 6 E 65

A Buja nel frattempo erano diventate operative alcune formazioni partigiane, io entrai a far parte del gruppo Osovano "Libertà".

Partigiano a Pielungo era anche Diego Tonello della frazione di Avilla. Appena arrivato era stato adibito alla mansione di cuoco, lo faceva di malavoglia, poiché questo lavoro gli impediva di partecipare a qualsiasi azione.

Eravamo da poco rientrati a Buja, era il 16 novembre 1944, quando decisi di recarmi nella frazione di Andreuzza presso le officine Vattolo “dal Batafier”, per allungare il caricatore del mitra che mi era stato assegnato: dopo la modifica, invece di venti colpi ne avrebbe contenuti il doppio. Giunto nella piazza di Avilla mi si fece incontro Diego che, tutto eccitato, disse:

 Arlem presto vieni con me perchè presso la famiglia “de Ciane” c’è un gruppo di cosacchi che ruba le  galline”.

 In mano aveva una pistola 6 e 65. Gli dissi:

Vorresti sparare ai russi con quel giocattolo? Sei matto?

 Andiamo da ……………  prendere delle vere armi.”

………….  abitava a pochi metri dalla piazza e teneva nascoste in casa molte armi fra cui un parabellum e un mitragliatore Bren. Diego, però, era così eccitato che partì come una saetta mandandomi a quel paese.   

Passò qualche minuto poi udii alcuni spari. Fu mandato subito qualcuno a chiamare don Saverio ed io mi unii a lui.

Purtroppo quello che temevo si era avverato: i cosacchi dopo la sparatoria erano fuggiti sparando sui malcapitati che avevano trovato sulla loro strada.

Diego era steso a terra vicino al portone d’ingresso colpito alla testa da una pallottola. Accanto a lui c’era la pistola, o meglio “il giocattolo”, che si era inceppato.  Chi aveva visto mi raccontò che un cosacco, vedendolo armato, lo aveva colpito prima con il calcio del fucile e poi gli aveva sparato a bruciapelo.

In quell’azione perse la vita anche Gaudina Calligaro, che si trovava sul terrazzo.

Il padre di Diego, che ancora non aveva saputo della terribile sorte del figlio, riuscì fortunosamente a scappare e a salvarsi da un gruppo di cosacchi che  erano sopraggiunti in seguito all’accaduto.

Arrivò di corsa con il cuore in gola a Sottocolle, nel cortile vicino casa mia, Gianna lo aiutò a dileguarsi nel bosco dietro l’abitazione.

Alessandro Forte, Fino Gallina, Aldo Nicoloso, Guerrrino Mattia Monassi ed io decidemmo di andare a prendere il corpo di Diego, che si trovava ancora nel cortile “De Ciane”, per portarlo a casa sua.

Faceva già buio, le finestre erano tutte oscurate.

Mandarono avanti me (ero il più giovane e non avevo nè famiglia nè paura) a vedere se c’erano problemi. Imbracciando il mitra entrai con cautela nel cortile, giunto sulla porta d’ingresso lentamente la spinsi in avanti, dentro c’erano due tedeschi armati uno di Mauser e uno di Machine-Pistole. Mi guardarono, li guardai, rinchiusi lentamente la porta e me ne andai ad avvertire gli altri.

Attendemmo, ma i tedeschi non uscivano, evidentemente anche loro avevano paura; io forse, come al solito, ne avevo di meno e decisi che sarei rientrato nel cortile.  Consegnai l’arma ai miei compagni e mi avviai con decisione.

Entrai nella stanza e notai che il tedesco che portava il mitra lo teneva in una posizione particolare, come se volesse farmi capire che non intendeva usarlo. Parlava l’italiano abbastanza bene, mi disse che potevo far entrare anche gli altri. C’era anche il padre del povero Diego, che parlava perfettamente tedesco; ricordo che, fra una domanda e l’altra, bevemmo anche due bottiglie di vino bianco e fumammo un bel numero di sigarette. I tedeschi ci permisero di portare la salma di Diego presso la sua famiglia, e acconsentirono a farci sparare una “salve” dopo la sepoltura. Tutto il colloquio si era svolto stando in piedi.

Erano le otto di sera e già da due ore era scattato il coprifuoco; nessuno, teoricamente, avrebbe potuto muoversi da dove si trovava. Un tedesco però,  visto quello che era successo nel pomeriggio e dopo averci spiegato che il loro presidio più vicino si trovava a metà della salita che da Ursinins Piccolo porta a Camadusso, chiese se uno di noi poteva accompagnarli.

Andai a prendere il mitra, lo misi a tracolla e, nel buio della notte, a piedi li accompagnai fino al presidio. Ci salutammo senza dirci nulla, le parole non servivano: in meno di due ore avevamo capito di essere tutti vittime di qualcosa di troppo grande, deciso sulle nostre teste. Avevamo cercato, in quella tragica circostanza, di trovare almeno una via per farci il meno male possibile.

L’indomani mattina ad Avilla ritornarono i cosacchi ed entrarono in casa Piccoli, come sempre erano ubriachi. Qualcuno andò subito a chiamare i tedeschi che, arrivati di volata, entrarono e ne uccisero uno, forse più ubriaco degli altri, che non voleva sentir ragioni. I cosacchi caricarono la vittima su un carro e se ne andarono, i tedeschi fecero altrettanto.

Quel pomeriggio si svolsero i funerali di Diego, alla fine della cerimonia funebre al camposanto sparammo una scarica come pattuito.