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PARTIGIANO

Così sorsero nei nostri paesi le prime formazioni partigiane spontanee. Poi le regolari. I neonati partiti avevano formato in ogni Provincia il C.L.N. (Comitato Liberazione Nazionale).  Dalle nostre parti, i patrioti aderivano alle Divisioni Garibaldi ed Osoppo.  

Con gli ufficiali sbandati, presenti don Ascanio De Luca e don Baiutti, parroco di Treppo Grande, presso le canoniche o presso abitazioni private, si tenevano riunioni e conferenze ai giovani del luogo per la formazione di nuove leve e gruppi di aderenti che poi passavano in montagna a Pielungo, nel castello, nelle malghe, in caverne o casere di montagna, dove avevano sede il comando ed i distaccamenti delle Divisioni Osoppo.  

Le brigate erano formate da diverse squadre di partigiani. Il giovane neo aderente prendeva un nome di battaglia e perdeva il suo nome e cognome. Il mio nome di battaglia era: «Gamba». La nostra Brigata (la 3ª Osoppo-Friuli 1ª Divisione, Battaglione Monte Nero, G.M.) operava già dal febbraio 1944, anche se ufficialmente è stata riconosciuta solo il 1° luglio 1944.

Era formata da patrioti di Treppo Grande, Cassacco e Buia e comuni vicini. Aveva la sede-comando presso le abitazioni De Luca-Marzona e Geretti Pietro-Luigi a Treppo Piccolo e Scagnetti Giacomo di Raspano di Cassacco, a rotazione. In tali luoghi venivano depositati la documentazione e gli atti della Brigata.  Tra l’altro preparavano la zona dove nella notte venivano mandate armi e vettovaglie e denaro da parte dell’aviazione alleata, località e lanci che avvenivano a seguito di segnalazioni di radio Londra, coi messaggi cifrati. 

Alle volte attirati dalle luci, arrivavano i tedeschi, trovavano solo silenzio e paura di imboscate.  Nei lanci seguenti, le fiaccolate erano accese su monti diversi, per ingannare sulla vera località del lancio. A volte oltre ai lanci di vettovaglie, divise e materiale urgente, si paracadutavano i militari che formavano «le missioni alleate».

Erano questi, ufficiali dell’esercito americano ed inglese che conoscevano i metodi di lotta clandestina e sapevano molto bene la lingua italiana. Forniti di apparecchi radiotrasmittenti e di impianti idonei con i quali inoltravano in codice alle riceventi di radio Londra i dati che fornivano loro, circa le azioni effettuate, i nominativi delle spie, le località da bombardare, le sedi tedesche, i depositi di benzina e di armi e quanto disposto dai comandi provinciali circa i messaggi cifrati.  Quando venivano presso la nostra Brigata si fermavano a dormire presso la casa De Luca-Marzona, nei primi tempi e poi nei casali di Treppo Piccolo, da dove trasmettevano le notizie sopra ricordate.

Molte notti io ed Ennio Santi facevamo la guardia armata ai dormienti. Gli americani erano giovani simpatici dispensatori di sigarette, democratici, attivi; gli inglesi  avevano un’aria di superiorità da nobili con monocolo, riservati e distaccati. Fornivamo loro i movimenti dei trasporti ferroviari, il numero dei vagoni, il carico (frumento, granoturco, macchinari, indumenti, armi ed altro) che venivano inviati in Germania dalla stazione ferroviaria di Udine. 

Gli orari dei trasporti per l’eventuale bombardamento. Le informazioni ci venivano fornite dai nostri partigiani che lavoravano in ferrovia. Il numero dei militari di stanza nei comuni, nelle frazioni di ogni paese dove operava la Brigata. I movimenti di truppe, i rastrellamenti effettuati, di quale appartenenza (SS, Wehrmacht, cosacchi, repubblichini), le date, le località, i risultati. I prigionieri fatti, gli arrestati, i feriti, gli eventuali caduti nelle scaramucce.

I partigiani portaordini, che sapevano già a chi rivolgersi, entravano da noi come amici, quelli che invece venivano per la prima volta erano un po’ insicuri sulle modalità di attaccare discorso, ma alla fine si trovava il modus loquendi. Allora io lo assicuravo, gli dicevo di attendere e chiamavo “Piero”. Lo scambio di messaggi avveniva in un stanza comunicante con la nostra cucina-pranzo e la cucina dei Marzona, o nel corridoio che immetteva nelle nostre camere e nella stanza della servitù. L’entrata dei Marzona era a sud della villa e precisamente del parco. A mio padre anziano non piaceva quel via vai, primo perché le “cospirazioni” andavano fatte cum granu salis e poi, i Marzona avevano locali adatti per certi colloqui privati. Ed un giorno, disse a Cesare che stava giocando con il fuoco, che la guerra non era un gioco e che preferiva che l’attività rivoluzionaria avvenisse in altro luogo più sicuro e riservato.

  Pochi giorni dopo, una domenica, i fratelli Giancarlo e Cesare Marzona ed i marchesi Ferdinando e Federico Tacoli di Moruzzo, ospiti dei Marzona, stavano pranzando. Noi anche.  Si presentò un partigiano che si faceva chiamare “Muc”. Voleva parlare con il comandante per accordi. Chiamai Cesare, vennero anche Giancarlo, Ferdinando e Federico. Lo scambio di idee avvenne nella solita stanza. Durò una decina di minuti. Il partigiano ripartì.  Il pranzo continuò nelle rispettive abitazioni.  Mio padre mi disse: «Ho sentito parlare di strategia militare. Purtroppo non conoscete ne la guerriglia, ne i nazifascisti Vi accorgerete che quello che state facendo va fatto in altri modi, in altri posti e con differenti strategie, tattiche, astuzie e capacità che non avete!»  E purtroppo fu facile profeta. Io sarei finito nel campo K.Z. di Dachau.

Giancarlo (Piero I) e Ferdinando saranno uccisi, Cesare (Piero Il) e Federico arrestati ed imprigionati, condannati a morte e graziati, pochi giorni prima della disfatta tedesca. Era il giorno di ferragosto del 1944, Piero e Bologna partirono dal Castello di Pielungo presso Vito d’Asio in Val d’Arzino con un furgoncino. Visitate le rispettive famiglie, si recavano a Udine per ritirare vettovaglie da trasportare in montagna. Furono visti a Treppo Grande dalle spie che telefonarono al Comando SS di Tricesimo. I militari formarono un posto di blocco presso il casello ferrotranviario di Reana del Roiale, sulla provinciale Tricesimo-Udine. Quando i due patrioti si accorsero di essere attesi, era troppo tardi. Furono fermati da un gruppo di SS e di repubblichini, fatti scendere. Perquisirono la macchina. Sotto i sedili trovarono armi e denaro. “Banditen”.

Si accanirono contro i due arrestati, con il calcio dei fucili e dei mitra. Messi al muro presso il casello, furono sbrigativamente passati per le armi. Le SS ed i loro servi non risparmiarono i colpi e le sventagliate. Le foto degli assassinati, scattate da Ennio Santi e da mio fratello Guido prima della sepoltura, sono in mio possesso e mostrano le crudeltà e bestialità usate dai carnefici. Lasciarono i cadaveri presso il casello sulla provinciale. Il folto gruppo assassino si diresse verso l’albergo Boschetti di Tricesimo.

Con il denaro rinvenuto sul furgoncino organizzarono una festa-premio-convivio che durò fino al mattino inoltrato. Alcuni degli aderenti a tale festino riconosciuti, furono segnalati, assieme alle loro accompagnatrici, ai comandi della Osoppo­Friuli. Alcuni di questi si accorsero più tardi che la guerra civile non è solo festa, balli e cene, prepotenza e stragi impunite, ma anche dolore e sangue provati sulla loro pelle e su quella dei loro familiari.