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| A   CICONICCO  Quando  seppi l’accaduto, compresi chiaramente quello che sarebbe successo. Le SS con la documentazione prelevata sarebbero venute a conoscenza delle mie generalità e di tutti i miei trascorsi nell’attività partigiana. Convenni con «Piero II» che sarebbe stato opportuno che levassi le ancore rendendomi introvabile. Mi rifugiai perciò a Ciconicco di Fagagna, presso miei parenti e precisamente da Alberto D’Antoni. Qui ritrovai, cappellano della frazione, don Severo Ferrero, che era stato in Seminario mio assistente di classe e di camerata, quando frequentavo il ginnasio. Convenimmo che dovevo stare sul chi vive in quanto a Moruzzo di Fagagna, nel castello dei marchesi Tacoli, erano insediati i tedeschi che imperversavano su tutta la provincia, dalla Carnia a Lignano, in stretta collaborazione con il maggiore della Gestapo di Udine, Starnizza. Questi era un essere feroce ed disumano, sanguinario ed assassino. Era specializzato negli interrogatori.  Agiva con insulti e  percosse, gioiva sentendo grida di dolore ed urla disperate. Colpiva gli  interrogati a sangue fino allo svenimento, poi faceva gettare secchi  d’acqua gelida per far rinvenire le persone e poi finirle, con i suoi  torturatori, a pugni, calci e sadiche battiture di ossessi carnefici. Se  qualcuno riusciva a superare la prova, restava attonito, come uscito da  un sogno di incubi che sarebbe durato nel tempo come una condanna  infernale. Ho conosciuto a Dachau queste povere persone, passate per le  mani questa ridda di figure sataniche, uscite sfigurate, con i colpi di  scudiscio impressi nelle carni e con la mente sconvolta. A  Madrisio di Fagagna operava un gruppo di partigiani. Li ho conosciuti  per caso una sera, mentre tornavo a casa con mio cugino Curzio D’Antoni,  dopo una breve visita a parenti. Tornavamo verso mezzanotte, eravamo  sulla provinciale Udine-Fagagna. Fummo fermati con l’ordine: «Fermo là».  Risposi: «Fermo sto». A cui seguì la frase: «Avanti con le mani in  alto». Quando giungemmo in prossimità della squadra, si fece avanti il  comandante e mi chiese: «Come sai la parola d’ordine?» Glielo dissi  e facemmo la conoscenza. In seguito collaborarono con il nostro  Battaglione tramite il cappellano, specialmente per il rifornimento di  tabacco e derrate alimentari alle forze dislocate sui monti. In certi  giorni aiutavo i miei parenti per il lavoro nei campi e per il raccolto.  Normalmente mi dedicavo allo studio. Ma  una sera la via dove abitavamo fu fatta oggetto di perquisizione da  parte dei reparti di Moruzzo. Mi rifugiai con i cugini Curzio e Siero in  un ripostiglio sul fienile. La ricerca dei nazifascisti durò un’ora.  Non ci trovarono. Ma neanche Ciconicco era sicura.   Stavo pensando di trasferirmi in montagna quando mi giunse la  notizia che era stato raggiunto un compromesso con il comando tedesco.  La documentazione prelevata dall’abitazione di Raspano era stata  eliminata a seguito dello scambio con alcuni militari tedeschi fatti  prigionieri dai partigiani. Era stato anche assicurato che non sarebbero  state arrestate le persone eventualmente riconosciute a seguito  dell’avvenuto esame del materiale da parte del comando SS di Tarcento.   Tale  assicurazione non fu rispettata. Tornai a Treppo, ripresi da dove avevo  interrotto, ma dormivo in luoghi diversi ogni sera. Agli incroci della  strada provinciale erano apparsi cartelloni con le scritte: “Achtung!  Achtung! Bandengebiet” Attenzione! Attenzione! Bande pericolose.  Avevamo a Raspano, nel bosco dietro le abitazioni di via Treppo, una  tenda infermeria, era protetta dagli alberi fitti e dal sottobosco,  posta dietro la collina che precipitava in un dirupo. Era invisibile  fino a pochi metri, tutt’uno con il verde folto degli alberi. Era  funzionante dall’aprile all’ottobre. L’usavamo anche per dormire,  quando prevedevamo rastrellamenti. Qui venivano curati i feriti leggeri  ed i convalescenti che potevano camminare. Si transitava il fiume anche  nei guadi di Osoppo, Braulins, Cornino e altri passaggi, specialmente se  il fiume non era in piena. In quella notte una quindicina di uomini  erano caduti in una imboscata preparata dai tedeschi. Tre rimasero  feriti, ma riuscirono a sganciarsi. Furono curati nella tenda infermeria  fino a guarigione. Nelle sere quando con la infermiera di turno mi  recavo per le medicazioni, “Caverna” ci attendeva dietro i grossi  alberi e con un balzo, pistola in pugno, ci faceva prigionieri. Erano  esercitazioni per le future battaglie. Infermiere erano le Signore  “Cate” e “Mira”.  Nessuno  dei medici dei paesi vicini si rifiutava, se chiamato, di curare i  nostri feriti, anche se ufficialmente medico del Battaglione era il  professor Tremonti di Tricesimo. La popolazione dei paesi stava nella  maggioranza dalla parte dei partigiani, c’erano anche alcune famiglie  di fascisti, altre erano neutrali. Ma c’erano anche i furbi, quelli  che sono sempre a galla, che stanno con i vincenti, o in attesa di  decidere per salire sul carro del vincitore. Il segretario politico del  paese aveva mandato in montagna, con la Brigata Osoppo, il figlio. Non  si sa mai. Certi, che avevano due figli, ne mandavano uno con i  partigiani, l’altro con i repubblichini.   Due fratelli, uno tenente fascista, l’altro con l’Osoppo.  Tutti due, dopo la liberazione, sindaci con la DC in paesi confinanti. Due  preti, cugini, uno tra i fondatori dell’Osoppo, l’altro cappellano  delle formazioni nazifasciste. Uno in montagna, l’altro in pianura.  Sapevano tutto, si aiutavano, domani il vincitore avrebbe protetto il  perdente. Le spie dedite al doppiogioco. «Basta che renda», e rendeva  bene. Tutti questi che erano furbi, divennero sempre più furbi. I figli  ed i nipoti hanno i cassetti in camera pieni di bandiere, con stemma  sabaudo e senza, camicie nere, rosse, di ogni colore. Vessilli che  sventolavano in alto, verdi, rossi, bianchi; coccarde, stemmi, tessere  della DC, del PCI, del PSI, del MSI, ora anche di AN e Forza Italia e di  tante nuove formazioni politiche. Le  foto da Benito a Silvio, da Giorgio a Gianfranco, da Palmiro a Massimo,  da Pio a Carol, da Nilde a Rosi e così di seguito.  I  loro nipoti, se parli loro non ti rispondono, stanno correndo ancora  dietro i vincenti, come sempre. E le stelle, la luna, i pianeti, corrono  anche loro e non li stanno a guardare. Hanno un solo dio: il denaro.  Intanto  si stava preparando un’azione punitiva contro i cosacchi della zona di  Collalto di Tarcento. Un  centinaio di militari russi provenienti dalle zone del Don si erano  acquartierati nella frazione di Tarcento con le rispettive famiglie,  avevano il beneplacito dei tedeschi in funzione antipartigiana ed erano  anche in cerca di una nuova patria. Kosakenland.   Agivano come padroni, rubavano e importunavano gli abitanti,  facevano tutte le angherie possibili contro la popolazione per indurli  ad abbandonare il paese.  Ed  una notte ci fu lo scontro. I  cosacchi furono attaccati di sorpresa, la sparatoria durò parecchio,  squarciò il cielo. Erano ben armati e si difesero. Bombe a mano,  mitraglie, mitra, Mauser, parabellum, fucili 91, pistole automatiche  esplosero, crepitarono deflagrarono dalle due parti. Razzi illuminanti  solcavano il cielo. Una vera terribile battaglia. Si  svegliarono tutte le persone del circondano, anche i tedeschi, ma non  intervennero. Nessuno portò aiuto ai cosacchi invasori, neppure i  repubblichini. I partigiani ad un segnale convenuto si ritirarono. I  cosacchi alla fine della sparatoria contarono parecchi feriti, alcuni  gravi, qualche morto. Il nostro Battaglione ebbe diversi feriti, ma  nessuno grave. I feriti leggeri furono curati nella tenda infermeria a  Raspano. Un ferito ad una gamba ed uno ai glutei (Fausto Maestra da  Cassacco), furono trasportati nelle proprie abitazioni. La Strafaktion ebbe il risultato prefisso, in seguito i cosacchi si comportarono con più umanità con le popolazioni del luogo. Servì anche ad avere contatto con il comandante della comunità cosacca che era di stanza a Gemona del Friuli ed in Carnia, ed in seguito ad accordi, non ci fu la temuta rappresaglia. |