Questa volta parlo io Capitolo 4 |
4) La Rivoluzione Russa La Siberia era proprio una miniera a cielo aperto, bastava aver voglia di lavorare e di affrontare tutte le difficoltà dei luoghi. Il Governo Russo, inoltre, per favorire gli insediamenti nella regione, regalava nella Siberia meridionale, a chi ne avesse fatto richiesta, mille ettari di terra da coltivare. Nel periodo che va dal 1900 al 1920 vedemmo passare sulle nostre teste ben due guerre. La prima, contro il Giappone, scoppiata nel 1904, vide la Russia sconfitta e costretta a cedere al Giappone parte della Manciuria. I vincitori concessero in compenso alla Russia di poter continuare ad utilizzare il tratto di ferrovia appena realizzato che attraversava quei territori, anche se ben presto per questioni militari iniziarono i lavori più a nord, in prossimità del fiume Amur. Ebbero inizio, inoltre, i lavori per il secondo binario e il rifacimento in pietra di molti ponti precedentemente costruiti in legno. La seconda guerra, contro Germania e Austria-Ungheria, scoppiò nel 1914 e sfociò poi nel 1917 nella Rivoluzione. Di fatto dal 1914 noi stranieri rimanemmo bloccati ed era impossibile pensare ad un rientro in patria. Cominciarono a scarseggiare i prodotti alimentari e nel contempo dilagò la rivolta incontrollata della massa dei diseredati che sfociò in assalti alle proprietà dei ricchi. Le classi sociali più povere dovevano fornire inoltre la gran parte delle truppe per una guerra che si stava mostrando col suo vero volto, una carneficina. A seguito di tutto ciò scoppiò la Rivoluzione e con questa venne a mancare anche quella minima parvenza di ordine e legalità che regnava in quelle terre. In città come Irkutsk ogni sera c’era oltre una decina di morti ammazzati ad opera di alcolizzati che cercavano denaro per andare poi a berselo. Inoltre, periodicamente, orde di predoni assalivano cantieri, villaggi e treni facendo saltare i binari e questo andava avanti finchè qualche reparto dell’esercito non riusciva a scovarli e sterminarli. Conosco bene l’obiezione di alcuni di voi riguardo alle poche cose che riferirò riguardo la Rivoluzione russa: «Con quale credibilità, tu, libro di chiesa scritto da un prete, vorresti venire a raccontarci dell’avvento del Comunismo in Russia? Tu, che persopravvivere sei stato sicuramente nascosto da Luigi sapendo bene che se i “compagni” ti avessero scoperto, prima ti avrebbero costretto a cantare “Bandiera Rossa” e poi saresti finito in cenere». La sorte ha voluto che quello del mio padrone non sia stato l’unico tentativo di rientro in Italia in quei mesi. Uno dei tanti fu quello della contessa Rina di Brazzà Cergneu, di 74 anni, che nonostante avesse lasciato in Siberia i figli, scrisse al suo rientro un coraggioso libro-diario, ormai introvabile, dal titolo Autocrazia, Libertà e Bolscevismo pubblicato nel giugno 1920, dove sono raccontati dettagliatamente i fatti accaduti dopo la presa del potere dei Bolscevichi ad Irkutsk e la sua decisione dipartire per un incredibile viaggio a piedi che sarebbe durato quasi sei mesi, con destinazione Vladivostock. Inizierò col dirvi che il caos che seguì questi avvenimenti nel febbraio 1917, arrivò dalle nostre parti in puntuale ritardo, tanto che ebbe tempo di insediarsi a Tomsk il primo Governo e Parlamento Siberiano (28 Gennaio 1918). Nell’anno 1918 circa 45000 soldati cechi, disertori dell’esercito Austro-Ungarico, si unirono ai bianchi di Koltchak che il 1° novembre del ’18 instaurò la dittatura, ma alla fine dell’anno i compagni avevano già ripreso il controllo della situazione. Ammesso che il regime dello Zar fosse composto da polizia corrotta e quant’altro, chi pensate siano diventati, nei villaggi e paesini sperduti nella sterminata steppa russa, i caporioni di queste cellule che volevano cambiare il mondo? I pochi astemi con un po’ di sale in zucca o i più prepotenti, ignoranti e violenti che di comunismo parlavano per sentito dire? A voi la risposta! Per farvi capire, in due parole, in che caos ci trovammo, tra i vari sanguinosissimi passaggi di potere fra bianchi e rossi, vi riporto due brani scritti dalla Brazzà: «...Vi fu chi ebbe il coraggio che dà la disperazione, di denunziare a lui gli stupri violenti e gli atti arbitrari d’ogni sorta che si permettevano i soldati e gli altri bolsceviki in carica (ad Irkutsk). Se il «governatore» Ianson aveva una buona giornata, sorridendo ed in tono canzonatorio rispondeva: Ma che, Cittadino, non siamo tutti fratelli, non siete bolscevicki? Se lo siete, dovete ben sapere che ognuno di noi abbiamo i diritti eguali, che la nostra legge tutto nazionalizza, che tutto è di tutti e che per conseguenza la donna, che è il più ghiotto boccone del patrimonio nazionale, deve subire la stessa sorte d’ogni altro bene di cui si ha da godere!... Anche i figli, vedete, sono nostri, poichè tutti siamo una sola famiglia; dunque ogni nato è proprietà nostra. Si faranno grandi Asili capaci di contenere tutti i nascituri della popolazione. Ogni madre, pena la fucilazione immediata, dovrà denunciarne la nascita e la nazione li farà allevare ed istruire con criteri moderni, in modo che, la generazione nuova, nascerà e crescerà bolscevik e non ci sarà più bisogno di propaganda per far capire al mondo che nel solo bolscevismo è la vera, la sola eguaglianza, la vera libertà, Se poi, come mi sembra, non siete bolsceviki, andatevene, ma in fretta, che potrebbe anche darsi, ch’io cambi d’umore, e se ciò fosse.... Chi non si assoggetta volontariamente alla nostra legge, sarà fucilato... (...) Uno dei più ricchi signori d’Irkutsk, tale Regionoff, fu obbligato a far da cocchiere al proprio ex cocchiere, divenuto commissario. (…) la questione è soltanto di tempo, ma è certo che quel regime è destinato a fallire poichè, per quanto gridino, “eguaglianza fratellanza”, queste non esistono affatto. La proprietà, il capitale, non ha fatto che cambiar di padrone. La società nuova?... Non vi è che una differenza: chi prima stava in alto, oggi trovasi coi piedi nella polvere; chi prima stava in basso, ha raggiunto il più alto seggio e da lassù comanda. Oggi è come sotto il regime autocratico: borghesia e proletariato, ricco e povero, padrone e servo; colla differenza che chi comanda oggi, non sa comandare e chi deve obbedire, non sa obbedire...». (20) Parole profetiche lette oggi, vero? Purtroppo il popolo siberiano era allora privo di qualsiasi cultura e pertanto di una ingenuità incredibile. Un poco per volta vennero richiamati alle armi pressoché tutti gli uomini dai 18 anni fino ai 50, provocando il conseguente spopolamento delle campagne dove rimasero solo donne, vecchi e bambini. A questo si aggiunse l’abbandono totale delle colture agricole: nessuno coltivava e faceva nulla oltre lo stretto necessario per sopravvivere in quanto sapeva che poi a raccogliere sarebbero venuti i compagni. Tutto si poteva definire con due parole sole: desolazione e miseria ed è per questo che in molti allora decisero di fuggire. Chi rimase ritardò il suo rientro. Nel 1937 furono tutti espulsi e costretti a rientrare in patria, come raccontato nell’incredibile vicenda della famiglia Rugo, scritta da Elvira Kamenshchikova. (21) |