Questa volta parlo io Capitolo 5 |
5) Il ritorno Così fece anche Luigi che, raccolto quanto poteva contenere una borsa da viaggio, dove io presi posto, assieme ad un gruppetto di connazionali, si avviò a piedi seguendo la ferrovia, che non funzionava, destinazione Vladivostock. Non continuate a leggere prima di aver guardato una cartina geografica, non capireste, non capireste cosa significò camminare per mesi sui binari della ferrovia, un viaggio incominciato in piena estate e terminato in inverno, a Natale. Quante notti passammo all’addiaccio addormentandoci sotto le stelle e quanto difficile fu proseguire quando dovevamo camminare impediti dalle pellicce nel gelo siberiano. Luigi, che nonostante qualche acciacco era un uomo ancora nel pieno delle sue forze, incominciò in questi giorni a tossire. Come ringraziare tutti quei contadini, che a rischio della loro stessa vita, ci davano asilo nelle loro isbe. Fortunatamente non tutti i tratti della ferrovia erano interrotti, pochi chilometri percorsi sui vagoni facevano riaccendere la speranza e riacquistare le forze per proseguire ed arrivare a destinazione. Rimase l’ultimo tratto, il più pericoloso in quanto infestato da bande di cinesi Tongusi che abitualmente vivevano nelle foreste ed erano dedite al brigantaggio. Luigi affrontò questo tratto finale in condizioni di salute non buone: la polvere di pietra respirata in tanti anni di lavoro tornava a farsi sentire, tossiva continuamente, alle volte sputava sangue. Finalmente vedemmo spuntare all’orizzonte delle cupole d’oro: eravamo arrivati a Vladivostock! Ci recammo subito al Consolato Italiano dove potemmo rifocillarci ed informarci sulle navi in partenza. Intanto a Luigi, che negli ultimi giorni aveva stentato a seguire il passo del gruppo, sopraggiunse la febbre. Ci imbarcammo il 26 febbraio 1920 sulla Texas Maru, una nave giapponese che faceva rotta per l’Italia e che partì dal porto di Vladivostock con a bordo oltre che i sottoscritti, 1200 irredentisti e 23 Ufficiali. Gli Irredentisti erano prigionieri di guerra (Austro-Ungarici) trentini, che allo scoppio delle ostilità nel 1914 erano stati mandati a combattere sul fronte russo. Nel 1918 inoltre, erano partiti da Torino circa settecento volontari che entrarono a far parte del corpo di spedizione occidentale antibolscevico mandato in aiuto delle truppe bianche dell’ammiraglio Koltchak. A questi uomini, guidati dal colonnello Camossi, si aggiunsero circa ottocento di questi prigionieri di guerra trentini, che attendevano da mesi di essere riportati a casa. I 1200 saliti sulla Texas Maru erano l’ultimo scaglione di alcune migliaia di prigionieri che la Missione Militare Italiana era riuscita a far rimpatriare, denominandoli furbescamente Irredentisti per ovvi motivi politici. Speravo che il periodo di riposo forzato del viaggio, l’aria pura del mare e il sole avrebbero rimesso in sesto Luigi. Non fu così. Furono giornate splendide e nello stesso tempo tragiche, quelle che precedettero l’arrivo al canale di Suez, in mezzo ad un oceano calmo le cui onde sembrava volessero cullare quell’uomo così ammalato. Le albe ed i tramonti e le notti serene in mare aperto poi, erano qualcosa di inimmaginabile. Lo sguardo ad uno stupendo cielo stellato, accompagnato da un alito di vento che sembrava volesse accarezzare l’ombra scura del mare, faceva tutt’uno con il lento sciabordio delle onde che accarezzavano le fiancate della nave: sembrava che tutto fosse stato fatto per far percepire, a coloro che ne avevano la sensibilità, la grandezza e la bellezza del creato. A tutto ciò si aggiungeva l’uomo, formica su una noce, che faceva parte del tutto, anzi tutto era stato creato per lui. Il desiderio del ritorno e tante riflessioni cominciarono a scomparire poco a poco quando le condizioni di Luigi peggiorarono. Ad una tosse insistente che lo consumava senza lasciarlo un attimo, sopraggiunse la febbre alta. Fu portato in un locale che fungeva da infermeria, ma a nulla valsero le cure prestate dal medico di bordo, Luigi Zamper. Il suo sogno di un “avenire prospero e lucroso” finiva qui. Rinchiuso a chiave dentro un bauletto, non riuscii a vedere l’incontenibile gioia degli Irredentisti Trentini quando approdarono in quella che era diventata la loro nuova patria, mi pare il 1° aprile 1920, nel porto di Napoli. Il 15 aprile 1920 la Texas Maru fece scalo a Trieste. Qualche mese dopo, il 7 luglio 1920, a Buja, giunse un bauletto in legno con i pochi averi di Luigi, tra i quali c’ero anch’io e la seguente comunicazione: «L’anno millenovecentoventi ed addì venti del mese di marzo nell’infermeria a bordo del piroscafo “Texas Maru” nella posizione: lat. 5° 34’ N - long. 83° 08’ mancava di vivi alle ore due e trenta minuti pomeridiane in età di anni sessantadue il cittadino italiano Giordani Luigi nativo di Buja provincia di Udine, figlio di fu Vincenzo, morto in seguito a tubercolosi polmonare e calato in mare a lat. 5° 38’ N - long. 82° 10’». Mi sentivo orfano assieme alle pochissime cose che Vigj aveva potuto portarsi dietro in quel viaggio durato mesi; qualche indumento, alcuni fazzoletti da naso, un paio di mutande, qualche rublo. Giunto a casa, ritrovai sua moglie Vincenza Aita (Vissense Piç), che stupita mi riconobbe e dopo avermi dato una fugace sfogliata mi pose in un cassetto. Aveva ben altro a cui pensare. Suo figlio Giuseppe (Zef di Vissense) (1889-1979) si era sposato nel 1915 pochi giorni prima dello scoppio della Prima Guerra Mondiale ed abitava poco lontano, sempre nella borgata, mentre l’altro figlio Francesco (1893-1957) si sposò il 5 febbraio 1921. (12) Al ritorno seppi della morte del mio autore mons. Venier, avvenuta il 7 giugno 1902. A Buja è ancora ricordato, oltre che per essere stato un buon pastore d’anime, per le innumerevoli opere realizzate durante il suo apostolato, quali l’ampliamento della Chiesa Matrice di Monte di Buja, di quella di Madonna, l’ampliamento del Duomo di Santo Stefano, le arcate laterali con le tombe a San Bartolomeo. |