LA MIA GUERRA      (Capitolo 2)

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"Ragazzi, non c’è niente da fare!”

Alle 2.30 del 9 settembre cominciò l’attacco dei tedeschi. Noi, con i quattro fucili di cui eravamo dotati, cosa potevamo fare? Lungo la statale Abetone-Brennero c’erano due carri armati “Tigre” che lanciavano “srapnels” sul nostro accampamento, situato vicino al lago di Bressanone. Alle cinque di mattina, sotto un fuoco infernale di armi automatiche e cannoni, avevamo già una ventina di morti, non potemmo fare altro che resistere come meglio  potevamo, grazie soprattutto ai consigli dei veterani. Poco dopo, il Comandante del Battaglione, Cassoli, ci ordinò di alzare bandiera bianca.

Obbedimmo. Uscendo dall’accampamento, fummo costretti a lasciare le armi nelle mani dei tedeschi. Poi fummo incolonnati verso la caserma del 132º Artiglieria di Bressanone. 

Mentre sfilavamo per il paese, scortati dai militari tedeschi, la gente del posto incuriosita, venne a guardarci. Parecchi gridavano:

«Sono vent' anni che in aspettiamo questo momento !!!!!»

Forti erano infatti in molta gente, i sentimenti anti-italiani. Vidi alcuni dei miei compagni che cercavano di consegnare dei biglietti, destinati alle loro famiglie, alle persone assiepate ai bordi della strada, alcuni li prendevano, ma venivano assaliti dagli altri che glieli strappavano dalle mani e li facevano a pezzi.

Giunti in caserma si discuteva sul da fare. Con il tenente Duilio Grendene, di cui conoscevo la madre, ostetrica a Buia e la sorella Claudina, maestra sempre nel mio paese, pensammo di scappare.

«Lasciate il fucile, prendete con voi gli zainetti con bombe a mano e viveri di riserva», egli suggerì a me e ad altri tre compaesani, Dante Calligaro, Vittorio Azzolini e Rolando Sabidussi, che era di Artegna, ma figlio di una buiese. Ma il Comandante del Battaglione ordinò:

«Tenente Grendene, si attenga ai miei ordini».

In realtà, non si sapeva da che parte muoversi: infatti, si poteva essere presi e fucilati anche come disertori. Così il tenente Grendene, concluse rassegnato:

«Ragazzi, non c’è niente da fare!»

 

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